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È una Confindustria che invece di iniettare fiducia nel sistema sposa più l'allarmismo sindacale quella che è emersa ieri dalle previsioni del suo Centro Studi

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Ancorauna volta, infatti, l'effetto deprimente per le aspettative di cittadini e imprenditori è stato assicurato dalla stima dei 700 mila posti in meno che mancherebbero (condizionale ormai d'obbligo visto che gli stessi organismi internazionali rivedono ormai quasi ogni giorno al rialzo le previsioni di crescita per l'Italia) tra la fine del 2009 e il 2010. In un momento in cui piccoli focolai di ottimismo si sono accesi un po' dappertutto ecco che gli industriali tratteggiano al paese scenari catastrofici. Gettare numeri che fanno sensazione può servire a richiamare l'attenzione dei mass media. Ma così si rischia di accendere una guerra sulle cifre che non ha senso. Il ministro Tremonti ha assicurato risorse inimmaginabili per chi perde il posto. Le coperture ci sono. Ora occorre lavorare per creare nuovi posti. Innanzitutto spiega a Il Tempo, Giuliano Cazzola vice presidente della commissione lavoro della Camera e responsabile Lavoro del Pdl, «si parla solo di previsioni e come tali suscettibili di essere riviste». E in fondo anche la stessa Confindustria addebita all'anno orribile, il 2009, il grosso della perdita di posti di lavoro. Mentre un'emorragia meno consistente è stimata il prossimo anno. Sempre sui numeri Cazzola insiste: «Perdere occupazione non è mai positivo, ma non bisogna dimenticare che veniamo da un decennio in cui sono stati creati 3,5 milioni di nuovi posti». Nel merito, poi, le cifre sono sempre aleatorie e nessuno può prevedere l'effetto sull'occupazione di una ripresa che è già iniziata. I segnali non mancano: il primo aumento dei consumi è stato registrato a luglio da Confcommercio. Il turismo si è ripreso dal coma profondo dei primi mesi del 2009. La Fiat ha tenuto le vendite nel mercato italiano. Insomma se ci si aspetta ovvie cifre da incubo dai sindacati (la Cgil profetizzò oltre un milione di posti in fumo qualche mese fa) dagli industriali ci si aspetterebbe un approccio più positivo. Forse aveva ragione Tremonti che nel giugno scorso a Siena al convegno dell'Acri espresse il desiderio di mettere insieme tutte le banche dati e tutti gli uffici studi (più uffici che studi fu il commento al veleno del ministro) che non si parlano tra loro». Forse il CsC ha messo le mani avanti e preparare il terreno per «le inevitabili ristrutturazioni necessarie per non far chiudere le aziende». Una cosa nel gioco dell'economia ci sta. Ma tirare cifre al rialzo non fa certo bene allo spirito del Paese.

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