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di Giuseppe De Filippi

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Parlava da vincitore Geronzi perché ha sistemato come riteneva opportuno l'assetto del potere interno a Mediobanca, di cui è ora presidente del consiglio di sorveglianza, ruolo un po' indefinito e spurio, scaturito dall'adozione affrettata del modello di comando duale delle aziende. Il punto di partenza della conversazione con de Bortoli è proprio il successo di Geronzi nell'avviare, entro un paio di mesi, il riassetto dei poteri interni a Mediobanca, grazie al quale la sua posizione tornerà a essere decisiva e non si avranno più «equivoci e fraintendimenti tra i rappresentanti degli azionisti ridotti nel consiglio di sorveglianza al mero ruolo di sindaci senza peraltro averne i poteri». La vittoria di Geronzi comporta il ridimensionamento dei due manager, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, che avevano tentato, detto alla romana, di allargarsi, arrivando a disporre di «una sorta di diritto di veto esercitabile contro gli azionisti». Geronzi sa come muoversi in questi casi, l'esperienza dei rapporti con Matteo Arpe gli ha insegnato a tenere a bada i manager troppo rampanti, però nella conversazione con de Bortoli c'è un accenno che non verrà dimenticato facilmente: quello in cui il banchiere osserva che in altri Paesi non sarebbe stato consentito ai manager di Mediobanca il comportamento tenuto negli ultimi mesi anche perché «il management non può parlare con gli azionisti e in qualche caso fuorviarli con informazioni non corrette». Una sconfessione pesantissima, da cui difficilmente, malgrado la riconferma formale della fiducia in loro, i due manager potranno emergere come nulla fosse. Allora, cosa succede nel potere finanziario in Italia ora? Sistemate le cose in casa Geronzi si avvia a prendere la guida di Mediobanca con decisione. Stringe ancora di più (malgrado i tentativi di seminare zizzania quasi quotidiani) un patto di rispetto intelligente e amichevole con Giovanni Bazoli (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo), mette a posto (rivelandone qualche infortunio tattico non proprio da esperto banchiere) il presidente di Unicredit Alessandro Profumo, fa capire che sarà decisivo per qualunque sviluppo riguardante Telecom, Generali e Rcs (le tre principali partecipazioni di Mediobanca) ma che non vuole debordare dal suo ruolo di scelta dei manager e sostegno distante ad essi finché c'è consenso e fiducia. E la politica? Autorevolezza riconosciuta a Silvio Berlusconi e ruolo di vero punto di forza nel governo (oltre a un miglioramento caratteriale) attribuito a Giulio Tremonti. Come dire: Berlusconi è l'azionista, Tremonti è il manager. Lavorano bene, e per Tremonti si capisce che c'è un attestato di stima notevole da parte del banchiere (anche riguardo alle idee sul ruolo del mercato), ma, come insegna Geronzi, questo tipo di rapporto tra azionisti e manager, anche in politica, deve alimentarsi di chiarezza, intelligenza e sensibilità per andare avanti in modo proficuo.

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