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Eni si tiene il greggio del Kazakhstan

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L'ad del Cane a Sei Zampe, Paolo Scaroni, ha acconsentito all'aumento della quota dei kazaki nel consorzio impegnato nella produzione petrolifera fino al livello dei maggiori operatori coinvolti: in questo modo Eni, ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Total e la compagnia governativa si attesteranno tutti intorno al 16,5%. Una rinuncia necessaria ad evitare che il negoziato arrivasse a un punto di stallo tale da fornire il pretesto per una rescissione del contratto. Così non è stato. Ma per ottenere il via libera Eni ha dovuto accettare tutta una serie di condizioni. La più gravosa delle quali è la perdita del ruolo di capofila unico del progetto. Lo ha annunciato il ministro dell'energia kazako, Sauat Munbayev. Al comando ci sarà invece una nuova società, una joint venture (unione di diverse società) tra tutti i membri dell'attuale consorzio. Anche se il gruppo italiano continuerà a guidare tutta la prima fase dell'esplorazione. Un premio quest'ultimo alla capacità tecnologica riconosciuta alla società italiana. Slittano, inoltre, i termini per l'entrata in produzione dei primi giacimenti rinviata a fine 2011 dalla data precedente del 2010. Non sono mancate anche le contropartite economiche. Il consorzio pagherà al Kazakhstan 5 miliardi di dollari in totale per compensarlo dei ritardi nell'avvio della produzione. Dal canto suo per salire al 16,6% del consorzio, la società pubblica locale, Kazmunaigaz, pagherà 1,78 miliardi di dollari. Insomma alla fine hanno vinto un pò tutti secondo i commenti dei protagonisti. Il governo kazako è «completamente soddisfatto» dall'accordo raggiunto con il consorzio, ha spiegato il viceministro delle Finanze, Daulet Ergozhin. Mentre il consorzio Agip Kco ha confermato che «l'accordo pone le condizioni per assicurare la continuità e la stabilità del progetto nel futuro». Il titolo Eni ha chiuso con un prezzo di riferimento di 25,01 euro (-0,08%).

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