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di NICOLA DE MURO ANCORA un assalto spagnolo al mercato italiano.

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I nomi più conosciuti sono già caduti in mano straniera. Ma ora a essere sotto mira sono i marchi di media dimensione, che in gran parte si trovano nel Centro Italia. Così secondo quanto risulta a Il Tempo la prossima vittima sarà la Monini di Spoleto, in mano all'omonima famiglia dal 1920. Il compratore sarebbe la Carbonell, controllata dalla Sos Cuétara che pochi giorni fa ha rilevato per 33 milioni di euro il marchio Friol Italia dalla multinazionale Unilever, dopo aver acquisito la Carapelli e poi la Minerva Oli, titolare dell'Olio Sasso, due antiche casate che valgono un fatturato di 500 milioni di euro. Con questo tris in mano il Grupo Sos è il leader italiano. Un fatto paradossale: il paese storicamente re dell'olio, che viene conquistato in casa, per di più dai diretti concorrenti, gli spagnoli. Se si considera che altri due marchi illustri come Dante e Bertolli sono controllati dalla anglo-olandese Unilever, il panorama sugli uliveti del Bel Paese è desolante. I grandi brand oleari rimasti puramente italiani si sentono a questo punto sempre più sotto assedio. Due di queste etichette sono nell'Italia centrale e, per ora, in mano alle rispettive famiglie. L'olio Farchioni, nel perugino, e il molisano Colavita. Se le aziende imbottigliatrici sentono il fiato sul collo degli spagnoli, a essere in preda a un vero allarme sono i produttori olivicoli. La Spagna, da quando è entrata nell'Unione Europea, nell'86 ha quadruplicato la produzione di olio, mentre l'Italia in venti anni ha semplicemente mantenuto invariata la sua. Insomma la spremuta di olive spagnole invade i mercati mondiali e l'acquisizione dei marchi italiani permette il raggiungimento del mercato più redditizio di tutti, quello statunitense. Così passo dopo passo la Sos Cuétara si appresta quindi a diventare il padrone assoluto della filiera dell'olio italiano. Il gruppo di Madrid vale un miliardo e mezzo di euro ed è guidata da Jesùs Salazar, presidente-azionista con il 16,5% del capitale sociale che alcuni giorni fa a un giornale spagnolo ha detto: «Vogliamo diventare i leader mondiali della dieta mediterranea. Faremo alleanze, fusioni, compreremo. Per noi il mercato chiave è quello statunitense. Ha 300 milioni di abitanti con un reddito medio di 45mila dollari quando quello europeo è di 26 mila. Lì le autorità sanitarie e i consumatori sono preoccupati per l'obesità e problemi cardiovascolari e l'olio d'oliva è la miglior soluzione per tutti e due i problemi e quindi nel mercato americano ha margini di sviluppo senza limiti». Ma per arrivare agli Stati Uniti bisogna passare per l'Italia: «Conquistare gli Usa era molto difficile, per questo abbiamo comprato un marchio (Olio Sasso, ndr) ben impiantato. E faremo altre acquisizioni italiane». I marchi italiani, dunque, come veicoli per prodotti spagnoli. Un fenomeno che sta danneggiando enormemente gli olivicoltori italiani. «Siamo allarmatissimi» dice Paolo De Carolis, presidente del consorzio nazionale olivicoltori. «Gli spagnoli comprano i grandi marchi italiani solo come cavallo di Troia per gli Usa, i quali vogliono solo i nostri brand. Dentro le bottiglie con l'etichetta italiana c'è invece prodotto spagnolo. Per il nostro settore è il colpo di grazia».

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