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di FILIPPO DE JORIO COME è stato pubblicato dalla stampa nazionale, il 25 novembre si ...

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La difesa del ricorrente in questo caso emblematico (cui si era sostituita mortis causa l'Università di Parma, erede universale) è stata svolta da chi scrive e dagli avv.ti Pascasio e Polini. In molti ci hanno contattato per sapere qualcosa di più preciso. La difesa ha tracciato innanzitutto, una storia della dinamica legislativa in materia di pensioni, sottolineando che, fino alla legge 177/76, dedicata all'aggancio automatico delle pensioni alle retribuzioni, esisteva una prassi costituzionale e legislativa, anche più antica della nascita dello Stato italiano e risalente al Regno di Sardegna ed a quello delle Due Sicilie, che stendeva ai pensionati gli aumenti stipendiali dei lavoratori in servizio. A questa prassi il legislatore italiano non era mai venuto meno anche in momenti drammatici della storia patria. Nel Consiglio dei ministri del 10 giugno 1940, che dichiarò guerra alla Francia ed al Regno Unito furono aumentati del 10% tutti gli stipendi pubblici e privati. Nello stesso tempo e nella medesima percentuale vennero aumentate tutte le pensioni. Con la legge 177/76 si voleva, per l'appunto, istituzionalizzare tale necessaria corrispondenza nel trattamento dei lavoratori in servizio e di quelli in quiescenza. Così non fu perché i vari governi che si succedettero da quel momento non provvidero alla emanazione del regolamento di esecuzione della legge e profittarono del «periodo provvisorio» che consentiva all'esecutivo di fissare anno per anno le percentuali di incremento dei trattamenti di quiescenza, per procedere ad aumenti ridicoli, addirittura intorno all'1%, in momenti in cui l'inflazione a due cifre pervenne a valori non inferiori al 18%. Sicché nacquero allora le «pensioni d'annata» che riguardarono i lavoratori sino a quel momento transitati in quiescenza. Ma la riforma Dini, legge 335/95 rese tutti i trattamenti pensionistici «d'annata», cioè sganciati completamente dagli aumenti contrattuali o legislativi dei lavoratori in servizio e solo legati — e neppure tutti — alla cosiddetta «inflazione programmata». A questo punto le «pensioni d'annata» arrivano alla Corte Costituzionale. Per chiarire ancor meglio le cose, dopo la relazione del Giudice Costituzionale De Siervo, la difesa dei pensionati ha voluto evidenziare che il confronto voluto dall'ordinanza di rimessione della Corte dei Conti II Sezione Centrale d'Appello — che rinnovava e ribadiva la precedente del 1997, cui la sentenza 62/99 della Consulta non aveva dato risposta — non era tra pensionati e lavoratori in servizio, ma tra pensionati più anziani e pensionati più giovani, confronto quindi, tra pensionati che per la prima volta veniva trattato dalla Corte Costituzionale (se si considera che nel '99 essa equivocò sul contenuto dell'ordinanza di rimessione che attribuì alla ricerca di una parificazione automatica di cui la Corte dei Conti non aveva neppure parlato). Quanto alla importanza economica di questo scostamento, i difensori dei pensionati hanno chiarito che in alcuni casi, si perviene a favore dei pensionati più giovani, a percentuali diversificate di quasi il 100% e, in alcuni casi, anche maggiori. Se si pone mente al fatto che i pensionati più anziani hanno necessità maggiori si deve necessariamente dire che questa situazione è il rovesciamento degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione che prevedono che le retribuzioni (la pensione non è altro che stipendio differito, come tante volte riconosciuto dalla Corte di Giustizia Europea e dalla stessa Corte Costituzionale) debbano essere adeguate ai bisogni del lavoratore e della sua famiglia. La difesa ha chiesto alla Corte Costituzionale, in primis, di accogliere il ricorso e di dettare una sentenza simile a quella 1/91 che stabilisca, ancora una volta che tra le pensioni e le retribuzioni e tra le varie pensioni debba esistere «sempre ed in ogni momento una ragionevole corrispondenza». In subordine, che la Consulta detti una «sentenza di indirizzo» che solleciti il legisl

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