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Finale psicodramma per il Trono di Spade

Stanotte in onda l'ultimo episodio della serie più premiata di sempre

Dario Martini
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«Il pubblico non vuole nessun finale. Ma sapete come si dice, tutte le cose...". Con queste parole un maestro dell'horror come Stephen King è andato dritto al punto. Alle 3 di questa notte su Sky Atlantic in contemporanea con gli Usa, e domani sera alle 21.15 per chi non ama fare le ore piccole, si chiude la serie tv più acclamata degli ultimi anni, e forse di sempre. Milioni di fan attendono con il cuore in gola di sapere chi siederà sul Trono di Spade (ma siamo sicuri che ci sarà davvero un vincitore?). Definirla serie fantasy forse è riduttivo. Il genere, in realtà, è drammatico. E il dramma ha sconvolto letteralmente gli spettatori nel penultimo episodio dell'ottava stagione andato in onda la settimana scorsa. C'è chi ha fatto partire addirittura una petizione per chiedere agli sceneggiatori David Benioff e D.B. Weiss di scrivere un epilogo diverso. La follia che si è impadronita di Daenerys (una delle beniamine della serie interpretata da Emilia Clarke), che ha portato al massacro di migliaia di innocenti bruciati dal fuoco del drago, ha diviso in due gli appassionati: c'è chi parla di capolavoro e chi grida allo scandalo. È come se la donna che hai amato per tutta una vita a un tratto si trasformi in una sadica assassina. Ciò che si è visto sul piccolo schermo la scorsa settimana ha poco a che vedere con la tv. Ormai questi episodi sono paragonabili a dei veri e propri film, e non solo per la durata extra large. La sequenza di Arya (la vera eroina della serie) che fugge dalle fiamme, tra le madri incenerite con i loro figli e i palazzi che crollano come le certezze degli spettatori, tocca forse il punto più alto della produzione. Forse è proprio questo il motivo per cui la scorsa puntata ha fatto registrare il record di ascolti per una produzione Hbo: 18,4 milioni di spettatori solo negli Stati Uniti. Games of Thrones (questo il titolo in inglese) non è una serie qualunque. Tratta dai romanzi del maestro del fantasy George R. R. Martin, è la più premiata di sempre (ha conquistato 47 Emmy su 128 candidature), viene trasmessa in 173 Paesi e ogni episodio costa dai 6 agli 8 milioni di dollari (ma pare che siano state raggiunte anche vette da 15 milioni). La Trono di Spade-mania ha contagiato anche la scienza. È di ieri la notizia di una ricerca dell'università canadese British Columbia secondo cui «combinando la fisiologia fantasy dei personaggi e la neurochimica reale» si può trarre beneficio dall'esercizio fisico abbinato alla visione della serie. Un altro articolo, pubblicato su Social Neuroscience, indaga sui «sistemi complessi» e sulla lotta per la conquista del trono. È stato anche inventato un algoritmo per prevedere chi ha più probabilità di morire nel mondo immaginario di Westeros. Perché se c'è un aspetto che distingue questa serie da tutte le altre è la facilità con cui vengono mandati al creatore i personaggi. Ad esempio, la sconvolgente sequenza finale de "Le nozze rosse", la nona puntata della terza stagione, andata in onda nel 2013, è forse la più sconvolgente di una serie tv. È facile capire, allora, per quale motivo i fan abbiano vissuto con tanta sofferenza l'epilogo che si avvicina. Tanto che anche il padre del Trono, George R. R. Martin, non ha nascosto il suo dispiacere: «Avrei voluto più stagioni, ma lo capisco. Non sono arrabbiato, ho solo una piccola inquietudine».

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