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Auguri Sgt. Pepper, il capolavoro dei Beatles compie mezzo secolo

Silvia Sfregola
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Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione. Così il Perozzi, in "Amici miei atto II", descriveva una zingarata del Necchi. Genio è anche inserire in un'unica copertina, attraverso un collage pirotenico, Albert Einstein, Marlon Brando, Karl Marx, Fred Astaire, Edgar Allan Poe, Karlheinz Stockhausen, Carl Gustav Jung, Bob Dylan, Marilyn Monroe, William Burroughs, Oliver Hardy, il guru Paramahansa Yogananda (a indicare la loro futura meta spirituale), Oscar Wilde, Lewis Carrol, Marlene Dietrich e molti altri (Gandhi fu cancellato su richiesta della Emi preoccupata delle possibili ripercussioni negative sul mercato indiano). Sono tutti stretti dietro a John Lennon con in mano un corno francese, Ringo Starr con una tromba, Paul McCartney con un corno inglese, George Harrison con un flauto. Ovvero, i Beatles, il gruppo più leggendario della musica pop, che il primo giugno del 1967 diede alle stampe "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band", dal nome di un'immaginaria orchestra edoardiana alter ego dei Fab Four. L'album è un viaggio cosmico di stratificazione melodica e psichedelica. "Immagina te stesso in una barca su un fiume/ con alberi di mandarino e cieli di marmellata,/ qualcuno ti chiama, tu rispondi abbastanza lentamente,/ una ragazza con gli occhi di caleidoscopio". Forse, l'incipit di "Lucy in the Sky with Diamonds" è il miglior consiglio per riascoltarlo cinquant'anni dopo. Un disco confezionato in laboratorio. Sul finire del 1966 i beatles decidono, infatti, di abbandonare le scene e di dedicarsi al lavoro in studio: 129 giorni per 700 ore di registrazione nelle sale di Abbey Road con il produttore George Martin. Tutt'altro approccio rispetto al debutto a 33 giri del 1963, 'Pease Please Me', realizzato in meno di quindici ore. L'obiettivo era trovare nuovi suoni e superare i confini della forma-canzone, un'impresa pionieristica con le tecnologie d'allora e difficilmente replicabile su un palco. Arrangiamenti arditi, tracce sovrapposte, rumori che danno l'idea di un teatro dove si esibisce la fantomatica banda del Sergente Pepper e, poi, un'orchestra di quaranta elementi per congiungere le due parti di 'A Day in the Life', cantate rispettivamente dagli amici-rivali Lennon-McCartney. Un'epica conclusione per un disco che tuttora guida la classifica, stilata dalla rivista "Rolling Stone", dei 500 migliori album della storia. E pensare che dalla tracklist furono espunte "Strawberry Fields Forever" e "Penny Lane". "L'atmosfera dell'album era in sintonia con lo spirito di quel periodo, perché noi stessi eravamo permeati da quello spirito", ha scritto Paul McCartney che del lavoro, in stile "concept album", fu l'ispiratore. Ribellismo, creatività, pacifismo, ricerca di nuove spiritualità, contaminazioni, uso di stupefacenti: erano gli anni Sessanta. Il bassista, che sul retro copertina fu ritratto di spalle alimentando la leggenda "Paul is dead", ha precisato: "Ritengo che i Beatles non siano stati i leader di una generazione ma i suoi portavoce". Oggi "Sgt. Pepper" compie cinquant'anni e per l'occasione ritorna nei negozi con una rinnovata versione deluxe: la "Anniversary Edition" con un mix stereo curato da Giles Martin, il figlio di George scomparso lo scorso anno, e dall'ingegnere del suono Sam Okell. Negli Abbey Road Studios di Londra hanno collaborato con un esperto team di ingegneri e specialisti del restauro del suono. Fino al 2 giugno sarà, inoltre, nelle sale italiane "The Beatles: Sgt. Pepper & Beyond", il film documentario che racconta i dodici mesi più cruciali della carriera della band inglese.

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