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Così è nato il «miracolo» romano di Springsteen

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di Stefano MannucciGli occhi gli brillavano, quando è sceso dal palco, dopo il commovente epilogo acustico di "Thunder Road", lui rimasto solo in scena per l'ultimo bis dopo una sarabanda di tre...

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Gli occhi gli brillavano, quando è sceso dal palco, dopo il commovente epilogo acustico di "Thunder Road", lui rimasto solo in scena per l'ultimo bis dopo una sarabanda di tre ore e mezza . Springsteen si è trattenuto a lungo in camerino insieme al suo staff, come volesse trattenere dentro di sè la magia per una notte indimenticabile: di quelle che anche a 64 anni, con una carriera senza pari e la fama di uno che ogni volta che suona dà tutto e anche di più, ti ritrovi ad ammettere: stavolta è stato un incantesimo. A pensarlo non sono stati solo i fans di lungo corso, quelli che macinano migliaia di chilometri sperando che li accontenti con «quella» canzone. Lo ha capito lui per primo, Bruce, cosa era appena successo alle Capannelle. E lo ha ripetuto ieri a Radio Città Futura il suo luogotenente, il fido Steve Van Zandt: «È stato probabilmente uno dei nostri migliori concerti, lo dico senza mentire». Ma cosa era accaduto di tanto speciale? «Senza pianificare nulla, canzoni e feeling si sono mescolati: avevamo deciso di fare tutto il secondo album», ha spiegato il chitarrista «ma il concerto ha preso la sua strada... e Bruce ha cominciato a seguire sempre più le richieste del pubblico...». E proprio di quello si è trattato: a metà di uno show di torrenziale energia, partito con il primo bagno di folla soul di "Spirit in the night" e passato per brani muscolari, poco proposti in tour come "Roulette", "Lucky Town", la "Summertime Blues" di Eddie Cochran, "Stand on it", il sensuale medley fra "Mona" e "She's the One", o "Brilliant disguise", a un certo punto si è capito che Bruce e la E Street Band avrebbero pescato a piene mani da quel secondo album di quarant'anni fa, quel sogno epico e ribelle intitolato "The wild, the innocent & the E Street Shuffle". Tre pezzi immaginifici, gloriosamente narrativi, tre suite rock ispirate dal soffio caldo della giovinezza: "Kitty's Back", "Incident on 57th Street", "Rosalita". È stato lì che gli aficionados hanno cominciato a sperare nel miracolo che il Boss concedesse finalmente quella perla che non esegue quasi mai, ma che farebbe versare lacrime anche alle pietre, struggente e romantica com'è la sua "New York City Serenade". Ma quando ha afferrato uno striscione-richiesta dalle prime file con quel titolo, urlando gioioso «Solo per Roma!», nessuno ancora poteva immaginare la sorpresa: il brano iniziava a palco buio, per rivelare solo al momento giusto gli otto violini della Roma Sinfonietta diretti da Leandro Piccioni. L'idea era venuta tre giorni fa a Bruce ripensando allo show di San Siro, dove i fans avevano inutilmente invocato l'esecuzione di questo pezzo leggendario. Quasi pentito di averli delusi, Springsteen ha messo in moto il produttore esecutivo George Travis perchè gli trovasse la giusta sezione d'archi per regalare questo sogno alla Capitale. E chi meglio della Roma Sinfonietta, legata inscindibilmente al mito di Bruce, Ennio Morricone? Due ore di prove nel pomeriggio di giovedì all'Orion Club di Ciampino, mentre il pubblico ignaro già affollava l'ippodromo. E lì, il Sogno si è materializzato, per una notte d'amore di quelle che solo Roma poteva inventare, anche di fronte alla più dura pellaccia del rock.

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