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Viaggio segreto fra gli scavi dell'Atheneum

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«Lapuntata non è su Roma in generale, ma sui segni degli alluvioni e dei terremoti su Roma». Cosa l'ha colpita? Qual è il risultato della sua ricerca? «Io queste cose le conoscevo già. Mi sembrava interessante che Roma avesse subito alluvioni fino al 1870. Poi sono stati costruiti gli argini. Potrebbe rischiare Ponte Milvio, dove l'argine è naturale. L'altro aspetto che si vede è il detto su Roma: "Non ha terremoti perché è vuota sotto"». Bisogna sfatare questo mito? «Se fosse un cuscino d'aria... Ma non è così. I terremoti non sono romani. Roma ha i suoi terremoti a Castel di Decima, non sono molto forti ai Colli Albani. Invece risente molto bene dei terremoti dell'Appennino. Roma ne risente eccome. E, siccome il patrimonio di Roma è maltenuto, i terremoti possono provocare danni. La colonna (quella di Marco Aurelio, in piazza Colonna, ndr) nel 1349 è stata tutta sconnessa. E noi lo dimostreremo, con l'aiuto di una gru». Cosa ne pensa dell'ultimo alluvione che ha colpito la Capitale? «È arrivato quasi ai livelli di guardia. Ma non c'è stata l'esondazione. Se fosse salito di altri due metri l'avremmo avuta. L'acqua sarebbe arrivata a piazza Venezia, a via del Corso. E dall'altra parte, in Vaticano. In meno di una giornata. C'è una targa, a Santa Maria Sopra Minerva, che reca l'alluvione, arrivato a 4 metri dal piano della strada. Era il 1598». Ma dipende solo dalla pioggia di Roma? «Dall'acqua che piove e dall'acqua della falda. Concorrono tutti e due. Ai tempi dell'Antica Roma, l'alluvione era un fatto normale, prima che la Cloaca Massima funzionasse bene. I romani erano abituati a vedere il fiume uscire dagli argini, ogni tanto. Roma si trovava, almeno in parte, su una vecchia palude. E non a caso i romani costruivano sui Sette Colli. E dal basso c'erano i fori». E gli argini dei piemontesi? «Gli argini dei piemontesi sono stati finiti a metà degli anni Venti. Sono stati fatti bene e il fiume non è più esondato ma hanno fatto perdere il contatto romano col fiume. Sono alti e di pietra. Il fiume è visto come qualcosa di estraneo alla città, anche da un punto di vista spirituale». Il punto più delicato è quindi Ponte Milvio? «Sì, quel ponte ha la luce delle arcate molto piccola. Fa un effetto tappo e, da una parte e dall'altra, l'acqua può fuoriuscire». Come descrive la situazione di Ponte Milvio, nel documentario? «Del ponte facciamo vedere proprio questo. L'acqua, nel giorno dell'alluvione, era uscita fuori. E noi lo racconteremo: c'era anche un barcone spezzato, in quel punto». Quali sono le curiosità? «Abbiamo toccato con mano i segni del terremoto, laddove li abbiamo trovati. A via Labicana c'era un fiore, il labicano, che prendeva le sorgenti da San Clemente. Nella zona dove sarebbe stato edificato il Colosseo, c'era il laghetto di Nerone. Quando Nerone è morto, i Flavi hanno costruito su un pezzo del laghetto. Quello era un terreno poco stabile, una specie di gelatina. Nel 1349, sempre lo stesso terremoto. Si vede di come il resto rimanga intatto, l'altra parte no». Non solo. Lei è andato anche a curiosare negli scavi di piazza Venezia, che presenteranno stamattina: cosa ha scoperto? «Quella è un'esclusiva. Sono immagini mai viste prima. Negli scavi c'è l'Atheneum di Adriano. Un pezzo di storia importante. Anche lì si vedono i segni del terremoto, non recente ma medievale». Quali sono i suoi prossimi progetti? «Bene, ora abbiamo finito di girare Atlantide. Ora esce il mio libro "Pianeta terra ultimo atto" (Rizzoli). La vera paura non è la profezia dei Maya, che fa anche un po' ridere, ma il nostro comportamento». Cosa ne pensava della profezia sul famoso terremoto capitolino? «Ne parlo. Nel libro lo racconto ampiamente. Le chiacchiere lasciano il tempo ce trovano. I Maya ricostruivano il tempo all'indietro: noi ne abbiamo tratto delle conseguenze che loro, di certo, non avrebbero tratto».

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