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Woody ci apre gli occhi su Roma

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Non è vero che la Capitale è dipinta come una cartolina Muri scrostati, crepe nell'asfalto. Ma sono rughe wonderful

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Nonc'è nel suo film la città patinata, o quella che non esiste più. Di questa capitale Woody ha mostrato le rughe, la caciara, le cancellate arrugginite, i sampietrini sconnessi. Solo che le ha accarezzate, queste cose. E le accarezzate perché le ha guardate, come a noi acidi capitolini - imbufaliti contro traffico, burocrazia, cartacce, e quest'anno, mannaggia, pure la neve - non capita più. «To Rome with Rome», la pellicola bocciata dai critici ma che ha sbancato il botteghino - in tre giorni tre milioni di euro, più dei cinque film che la inseguono al box office - è davvero una dichiarazione d'amore alla Città Eterna. Però, provate a contare i fotogrammi-cartolina. Percentualmente sono molti di meno degli scorci imperfetti ma dell'anima, come uno scappellotto paterno a un figlio scapestrato con le occhiaie. Prendete il mentore Alec Baldwin che guarda fisso la macchina da presa insieme con il discepolo Jesse Eisenberg (lui è un architetto americano che ha studiato a Roma e ritrova un stesso del bel tempo che fu in quel ragazzo incontrato a Trastevere): lo sfondo è un muro scrostato in un vicolo e dietro il selciato di pietre è in presa diretta, con un pezzo di carta che vola e le fessure che tormentano i piedi. E guardate la scena madre dell'uomo qualunque Benigni che si tira giù i pantaloni nel bel mezzo della carreggiata di via Veneto. Allen inquadra, con la sua figura intera, precise precise le crepe dell'asfalto, che nessun Alemanno avrebbe filmato. L'occhio del regista americano è tattile. I rampicanti sui muri, le ortensie che sembrano rimpinzate di anabolizzanti tanto sono turgide lo affascinano quanto una scalinata un po' rabberciata del rione Monti. Le terrazze sulle quali ci porta sono sia quelle dei grand hotel che quelle della casa piccolo borghese del beccamorto-tenore-sotto-la doccia. Di piazza della Tartaruga la fontana si vede solo di sfuggita e invece sono i tavolini all'aperto o l'insegna di un bar - temi forti della politica consiliare - a dargli l'atmosfera. Allen ritrova i nomi che abbiamo dimenticato. Evoca via della Penna, nel cuore del Tridente, dietro al liceo artistico di via Ripetta, dove resiste qualche atelier di pittori o scultori. Inquadra un tratto di mura merlate ma chi lo sa, di noi, che quella, a metà di via della Lungara, si chiama Porta Settimiana? E ormai, qui, chi va più a fare la gita foriporta, sullo sfondo dell'Acquedotto Appio-Claudio? Le scampagnate, oggi, si preferiscono nei centri commerciali, negli outlet, dove c'è pure l'angolo con gli scivoli di plastica colorata per far giocare i bambini. Sono i sabati romani in fila sul raccordo, e ha ragione chi s'indigna perché il Comune non mette ordine nell'accesso ai megastore. Però, invece di mangiarsi il fegato, non sarebbe più salutare - più naturale, più semplice - portare i regazzini a Villa Borghese? E farli correre sotto gli alberi del Giardino del Lago e magari farli incantare ai riflessi dell'acqua nei quali si specchia il tempietto di Esculapio? Allen si è incantato, come testimonia la foto qui accanto. Un po' come l'inviato speciale di un quotidiano, che riesce a scorgere quello che il corrispondente non nota più. C'è una scena a raccontare i brividi che Roma può dare. La spedizione notturna della doppia coppia di giovani alle Terme di Caracalla. Una pazzia, una bravata, una sfida. La suggestione felliniana delle sagome dei ruderi più scuri della notte monta quando - fellinianamente appunto - piove all'improvviso. Anche qui niente primi piani, campo lungo. E, nitido, il pavimento antico romano, un intarsio geometrico di marmi. Allen accarezza e ci indica dove guardare, in alto e in basso. L'affezione è anche per le facce. E non diciamo del borghese piccolo piccolo che è naturaliter Roberto Benigni. Diciamo della signora-bene inquadrata a piazza del Popolo: una perfetta Maria Rosaria Omaggio. Diciamo del rapinatore un po' sudato che è Riccardo Scamarcio («Quando l'ho scelto per questo piccolo ruolo non sapevo che in Italia è un divo. Se lo merita, ha carisma», commenta il regista di Io e Annie). Diciamo del tenore Fabio Armiliato, nel film il «consuocero» romano di Woody. I capelli ricci, il torace aitante che mostra nei gorgheggi sotto la doccia sono la summa di un romano de Roma. E non è vero che certi non esistono proprio più. Non è vero che non ci sono più quelli in canottiera bianca a righine, i pizzardoni simpatici, le processioni nei vicoli, come arricciava qualche spettatore uscendo dalla sala di proiezione. Basta avere la pazienza di cercarli.

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