Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Quel che ci lascia il poeta dell'ottimismo

default_image

  • a
  • a
  • a

ToninoGuerra se n'è andato nel giorno in cui l'Italia del lavoro si interroga sul proprio futuro. E quel suo spot per Unieuro - il mercatone che vende aggeggi tecnologici, prodotti informatici, il futuro appunto - ieri rilanciato in tv e cliccato su Youtube, è, in un destino a orologeria, testamento e augurio al Paese. Un messaggio gridato agitando il braccio, l'ultimo saluto allo Stivale che lui, internato nel '43 in un lager tedesco, ha visto rinascere nel boom del dopoguerra, e nella forma più luccicante, quella del cinema. Ma come, uno scrittore, un difensore delle radici, delle tradizioni, della cultura contadina, diventa testimonial di pc e iPad? Tonino Guerra lo ha fatto con naturalezza, da anziano coi baffi e la camicia a quadri, un po' alla don Peppone, che ci crede, nella vita di domani. La storia personale lo ha condotto per mano ad avere fiducia. Gli ha donato l'abitudine a fronteggiare le avversità sognando di farcela. Raccontava che quando era rinchiuso nel campo di concentramento «alcuni romagnoli che ritrovai lì mi chiedevano ogni sera di recitare qualcosa nel nostro dialetto. Allora scrissi per loro poesie in romagnolo». Eccolo, il Tonino che prende il diavolo per le corna. Ai prigionieri dei nazisti evoca in versi i paesi di Romagna, sanguigni e allegri. Ad altri racconta storie, sfumate come i casolari nella bruma padana, lievi come le «manine» di Fellini all'avvio di «Amacord». «Un vecchio che visse solo in un villaggio abbandonato, visto che ero in pena per lui, mi ha gridato: Ricordati che la solitudine tiene compagnia» era uno dei suoi aforismi, per andare oltre i crucci. «Amarcord», mi ricordo. Viveva a Pennabilli, sulle colline del Montefeltro. Poi a Santarcangelo, dove coltivava l'uva per farci il Sangiovese. «Me ne regalò qualche bottiglia, per farmi provare quanto era buono il suo vino», racconta Walter Pedullà, il decano degli italianisti. «Non so dire quanto fosse grande la sua prosa, la sua poesia. Ma me ne piace la capacità di essere imprevedibile, di fare dei salti di corsia, di frazionare l'andamento di un discorso. Senza artificiosità, anzi con la naturalezza che non annoia mai. La sua poesia poi ha rilanciato un dialetto, il romagnolo, assai poco praticato dai versi». «I scarabòcc» s'intitola la prima raccolta, con la prefazione di Carlo Bo, suo professore all'Università d'Urbino, dove si laureò in pedagogia. Una scelta proprio per guardare al futuro, in un'Italia ancora con tanti analfabeti, a cominciare da sua madre. Si nutriva di sogni, di teofanie, come quella del «Rex» che illumina la Rimini felliniana. A Pennabilli creò mostre permanenti, «I luoghi dell'anima»: «L'orto dei frutti dimenticati, «Il rifugio delle Madonne abbandonate», «La strada delle meridiane», «Il Santuario del pensieri», «L'angelo coi baffi». Ride e incoraggia, Tonino Guerra. «L'ottimismo è il profumo della vita...».

Dai blog