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Quella beneficenza sotto i fari dell'Ariston

Adriano Celentano (S) con Gianni Morandi

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Per decodificare l'operazione Celentano occorre fare qualche passo indietro: la storia recente del Festival trabocca di ospiti imbarazzanti, divi hollywoodiani pagati quanto e più del Molleggiato, capaci di "recitare" sul palco dell'Ariston pause meno pregne di quelle del Profeta della via Gluck. Chi non ricorda le estenuate interviste a quello snobbone di Hugh Grant (Fazio annaspava) o - peggio - a un Mike Tyson minaccioso e muto, che guardava Bonolis come se fosse il suo secondino? Chi ha dimenticato la sortita di Travolta, due passettini di dance affrettatissimi davanti a Panariello e poi di corsa verso il jet personale da pilotare sopra l'Atlantico? Bazzecole costate dai 300 ai 500mila euro: l'unico a goderne davvero fu Pippone quando baciò sulle labbra Sharon Stone. A un certo punto alla Rai si sono detti: il vip straniero non funziona, puntiamo sull'eccellenza italica. E così l'anno scorso è arrivato Benigni, in groppa a un destriero scalciante che per poco non ammazzava il povero Masi seduto in prima fila. Niente spot, sapida satira antiCav, poi l'altissima lectio magistralis sull'Unità d'Italia e la recita mormorante dell'Inno di Mameli. Ascolti siderali, tutti contenti, con i maggiorenti di Viale Mazzini a sbandierare la qualità dell'operazione, che era costata ai contribuenti circa 250mila euro. In quella settimana sanremese si disse che il premio Oscar avrebbe devoluto il suo compenso in beneficenza per la costruzione di un padiglione dell'ospedale pediatrico Meyer di Firenze, e che quella donazione fosse la condizione imprescindibile per la firma del suo contratto. Giorni dopo, dal nosocomio toscano fecero sapere che a loro di quell'elargizione non risultava nulla, anche se l'attore spesso si era prodigato per versare denaro proprio al Meyer. Poi silenzio, comunque sia andata: segno di disinteresse del pubblico. Una volta spenti i fari, la beneficenza torna ad essere un'iniziativa sanamente riservata, e non un terreno di scontro morale e politico.   Del resto, il nostro Paese è pieno di personaggi che, quando devono mettersi la mano in tasca, non amano farlo sapere troppo in giro: vuoi per discrezione, vuoi per altre ragioni fiscali. Ma Alberto Sordi, per dirne uno, sopportava l'immeritata nomea di avere il «braccino corto», quando invece ha lasciato opere e somme cospicue per anziani e per i meno fortunati. Ci sono poi calciatori che pensano più - lodevolmente - alla salute dei bambini malati che non alle sorti della propria squadra. Sotto le luci di Sanremo, invece, tutto rischia di diventare sporco, sospetto, tendenzioso. Celentano vale emolumenti complessivi per 750 mila euro? Sul piano dei costi-ricavi mediatici sicuramente sì, ammesso che nel contratto definitivo ci sia la chance di infilare più spot possibili tra un silenzio e l'altro di Adriano: e mezz'ora a botta per quattro-cinque serate significa puntare a uno share che potrebbe aggirarsi sul 42-44 per cento di ascolti. Tetto niente male, anche se la Rai quest'anno si è creata senza volere la grana di dover pareggiare Fiorello, che era schizzato al 50 e oltre: un affarone per la Sipra, ma anche una nuova linea di demarcazione verso l'alto per le trattative fra azienda e inserzionisti. Ora esaminiamo nel dettaglio la pensata di Celentano: se la sua partecipazione sarà spalmata nell'arco di tutto il Festival, quei 750mila euro andranno per più di due terzi a 25-27 famiglie bisognose e il restante a due ospedali di Emergency. Qui viene la parte della storia che - in filigrana - offre una lettura "politica": lo staff del cantante ha contattato i sindaci di sette città. Roma, Milano, Firenze, Napoli, Cagliari, Verona, Bari: ben distribuite sul piano geografico, un po' meno su quello partitico. Infatti, per i soldi di Celentano occorrerà la collaborazione di cinque amministrazioni della vecchia opposizione (due Pd, due Sel e una Idv) contro una del Pdl e una della Lega. Con la curiosa situazione che mentre il Carroccio spara a palle incatenate contro Adriano a Sanremo, Tosi ringrazia «per il grande gesto di generosità che aiuterà tante famiglie», comprese quelle scaligere. Grazioso papocchietto: ma non si può non riconoscere al think tank del Clan di aver nuovamente sparigliato: del resto, quest'anno la satira è più complicata da proporre, Monti con il loden e i borborigmi sulla sobrietà non appassiona quanto il Cav con la bandana o i testi cantati insieme al musico Apicella. E allora, si lavora di strategia. Quanto al resto, sarà un Festival un po' così. Con Morandi già immalinconito per essersi visto rubare la scena dal superospite; un Papaleo che potrà divertire solo se non tenterà di impattare contro i vitriolici Luca & Paolo della scorsa edizione; vallette-modelle-soubrette belle e tendenzialmente svaporate e una gara che potrebbe proporre il duello finale tra il saggio Eugenio Finardi (pezzo non suo sul rapporto con Dio), e la corazzatissima Emma, che invece canterà un brano "social" scritto dal sodale Kekko dei Modà. Vincesse la giovane salentina, i malpensanti ricorderebbero quello che ha già scritto Dagospia: cioè che il direttore artistico Mazzi, dopo Sanremo, sarà consulente per il "serale" di "Amici". Non c'è niente da fare: in Riviera come ti muovi rischi la scivolata. Involontaria, ovvio.

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