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Nella autobiografia «Au bal de la chance. La mia vita» amori, canzoni e vicende del «passerotto francese»

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Ognivolta che canta sembra che strappi la sua anima per l'ultima volta», ha scritto Jean Cocteau. E qui, in questa autobiografia ("Au bal de la chance. La mia vita", Castelvecchi, pp. 189, euro 16), c'è un'anima continuamente fatta a pezzi e continuamente ricomposta. Perché voli. Deve volare, Edith Piaf, con le sue piume che sono umili, tenere e un po' sgualcite come quelle di un passerotto. Del resto, non l'hanno ribattezzata così, quando ha cominciato a cantare con quella voce così strana, aspra e dolcissima, che fa pensare alla carta vetrata e al miele? Piaf è passerotto in "argot", il gergo dei bassifondi parigini. E' lì che Edith ha visto la luce, tra prostitute e "macro", cantanti da strada e circensi d'infima tacca? Insomma, una corte dei miracoli in uno scenario dove ai miracoli non si crede perché la miseria più nera ti svezza subito da ogni incanto? Bè, questa è la leggenda della Piaf, e lei, come ricorda nell'introduzione Marc Robine, ha contribuito ad alimentarla, firmando due libri di memorie (il primo, "Au bal de chance", fu pubblicato la prima volta nel 1958, l'altro, "Ma vie", uscì in libreria all'inizio del 1964, tre mesi dopo la morte della cantante), che sono in realtà confezionati da bravi giornalisti e si fondano su un "immaginario" più volte plasmato e riplasmato dalla stampa. Ma lei a questa rappresentazione "mitica" ci teneva e non poteva fare a meno dei melodramma strappalacrime. Tra i quali rientra, ad esempio, la sua miserevole nascita nell'atrio di una casa nel freddo dicembre parigino, mentre il babbo, anziché andare a cercare un'ambulanza, vagabonda di bistrot in bistrot, per festeggiare il lieto evento e due agenti di polizia si prendono cura della donna, stendendo le loro mantelle sul marciapiede per evitare che la mamma e la neonata sentano troppo il freddo, e un'infermiera che abita nella zona taglia il cordone ombelicale con delle semplici forbici, ovviamente non sterilizzate. In realtà, ricorda Robine, una semplice visita agli archivi dell'ospedale Tenon, basta per scoprire che in quel famoso 19 dicembre 1915, data di nascita dell'implume Passerotto, una certa Anita Maillard dette alla luce una bambina di nome Edith Giovanna, non sulla strada, ma per l'appunto in ospedale e con l'assistenza di due bravi medici e di una valida levatrice. Un Passerotto bugiardo? No, la leggenda che prevale sulla realtà e che viene in qualche modo certificata da chi alla propria "immagine" non vuole rinunciare. La stessa Piaf era consapevole di aver contribuito ad edificare il proprio monumento, anche se, di tanto in tanto, lei stessa avrebbe voluto ridimensionare il mito, perché si sapesse "chi" era davvero. Già, ma "chi" era? Per quanto ci riguarda, sì, i "documenti" ci consentono di approssimarci alla verità e fanno giustizia di "feuilleton" e fotoromanzi, ma non possono rappresentare appieno una "vita" come quella della Piaf che quasi necessita dell'"invenzione". Perché, tradotta in arte, e in questo caso in una melodia graffiata, ruvida, struggente, di insaziabile voracità sentimentale e tessuta di una umanità che ti trascina, ti carezza e ti strazia, quella "vita" diventa- è diventata- una "stagione" e una "suggestione" della cultura francese ed europea. Ancora: una collezione di suoni, di visioni, di libri, di fotografie che riempiono un intero archivio della memoria. Tra guerra e dopoguerra, fino agli anni Sessanta, fino all'urto del "joli Mai" e del '68 con tutto il passato, il Passerotto "è" il canto sussurrato o dispiegato o urlato di "Mon légionnaire", di "La vie en rose", di "Hymne à l'amour", di "Milord", di "Non, je ne regrette rien"; "è" la storia d'amore con Yves Montand e poi con Marcel Cerdan e infine con il giovane Theo Sarapo, quando lei, cinquantenne, sembra già una vecchia, con pochi capelli attaccati alla testa; "è" il successo, il palcoscenico, i dischi e anche le malattia, gli alcolici, le droghe: il Passerotto è questo "privato" che si riversa in pubblico e si rivela convulso e gioioso, disperato e folle, ma è anche il simbolo di una delle stagioni più contraddittoriamente vive della cultura e dello spettacolo francesi. Si possono "raccontare" Sartre e Camus, le "caves" degli esistenzialisti e Juliette Greco, Jacque Brel e Jacques Prévert, Eddie Constantine e Charles Aznavour, Gilbert Becaud e Leo Ferré, Boris Vian e Georges Moustaki, senza parlare della Piaf ? Un corpo minuto che esprimeva voglia di vivere e di amare.

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