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Collaborazionisti intellettuali

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Il bellissimo studio di Maurizio Serra - pubblicato originariamente nel 1980 e ora riproposto con l'aggiunta di un saggio che lo aggiorna e lo integra alla luce di un trentennio di dibattito storiografico - permette di contestualizzare la vicenda di Vichy e soprattutto la "rivoluzione nazionale" all'interno della storia intellettuale, prima ancora che politica, francese. Renzo De Felice, che ne propiziò la pubblicazione vedendo in esso un libro che avrebbe fatto "a lungo testo", fece notare come Serra avesse affrontato "uno degli aspetti fondamentali e più controversi" della realtà di Vichy, "quello della cultura, non limitandosi però agli anni di Vichy, ma risalendo negli anni Trenta e anche più indietro, così da tracciare un convincente profilo della tradizione antirepubblicana e poter poi vedere come le diverse componenti di questa tradizione abbiano giocato e si siano atteggiate nel 1940-44". In effetti, il lavoro di Serra si muove alla ricerca di alcune costanti ideologiche della destra francese per sviluppare, poi, attraverso lo studio del caso di Vichy come "esempio storico di cultura autoritaria al potere", una riflessione più ampia sul rapporto fra cultura e autorità. Lo studioso sottolinea, per esempio, l'importanza di quel recupero, sin dagli esordi di Vichy, di Ernst Renan, il Renan della Réforme intellectuelle et morale, un recupero contenuto in maniera esplicita nell'appello di Pétain del 25 giugno 1940 laddove si trova, testualmente, l'esortazione ai francesi per "un raddrizzamento intellettuale e morale". E, poi, ancora il peso del retaggio culturale del nazionalismo francese, nei suoi vari filoni, da quello determinista di Maurice Barrès a quello antiromantico di Charles Maurras, passando per il proto-nazionalismo di Charles Péguy e via dicendo. Il richiamo a Renan, per esempio, spiega i continui riferimenti, nei dibattiti che si svolgevano a Vichy, all'esigenza di creare in tempi rapidi una "élite naturale", così come il riferimento a Barrès chiarisce l'enfasi del regime sull'idea di un "ritorno alla terra" basato sulla convinzione che la terra si identifichi con la patria al punto da far metaforicamente pensare che un campo incolto è un pezzo di Francia che muore laddove un campo coltivato a grano è un pezzo di Francia che sta rinascendo. L'identificazione, poi, dell'antiromanticismo di Maurras come il "più diretto antesignano ideologico di Vichy" spiega, per un verso, il motivo per il quale molti intellettuali di ascendenza maurrassiana siano stati parte attiva nella redazione di appelli a contenuto ideologico di Pétain e fa ben capire, per altro verso, la dimensione utopica del progetto contenuto nell'espressione La France seule, divenuto motto identificativo dell'Action Française del periodo di Vichy e titolo di un volume dello stesso Maurras pubblicato nel 1941. La dimensione utopica di questo disegno faceva sì che "ad uno Stato monco, che viveva alla giornata" Maurras portasse "prestigio, ma ben poco di più concreto". E, si potrebbe aggiungere, anche una serie di contraddizioni frutto di quella tradizionale germanofobia del ceppo originario del nazionalismo francese che finì per creare profondo disagio o comunque diffuso malessere in molti ambienti monarchici maurrassiani incapaci di comprendere una scelta che veniva percepita come una deriva potenzialmente filotedesca. La "rivoluzione nazionale" non riuscì insomma, secondo Serra, a produrre "una dottrina positiva che andasse oltre i velleitarismi" tanto che il progetto di "rifondazione delle élites", che doveva essere "l'aspetto pratico fondamentale della cultura autoritaria avviata dal regime", non fu in grado di inverarsi in "un autentico programma operativo": la "rivoluzione nazionale" rimase prigioniera di quello che Serra ha felicemente definito un "irrisolto circolo vizioso straordinarietà-stabilità" compreso fra "l'uso essenzialmente sentimentale dell'ideologia" e la incapacità o impossibilità di dare "una figurazione sociale durevole al suo modello". In realtà, lo stesso uomo simbolo di Vichy, il Maresciallo Pétain (del quale Serra offre con poche pennellate un eccezionale ritratto), non era né un ideologo né un intellettuale ma si illuse di potersi "presentare come un fenomeno culturale" ignorando il fatto che sua "rappresentatività politica" si collegava solo al ruolo di "gestore dell'emergenza nazionale" affidatogli da un paese sconfitto. E proprio l'"emergenza nazionale", con la conseguente implosione della Terza Repubblica, è la chiave migliore e più corretta per comprendere, davvero e appieno, la vicenda dell'Ètat français de Vichy nel suo rapporto con il millenario retroterra storico del paese. È davvero esemplare, il saggio di Serra, nell'analisi attenta delle modalità di costruzione di quella "cultura dell'autorità" che alimentò la "rivoluzione nazionale" e nella quale confluirono idee e motivi originali tipici di una destra nuova e diversa sostanziata di apporti provenienti persino da ambienti radicali e repubblicani e da sponde inassimilabili alla vecchia destra. Ed è parimenti esemplare l'attenzione riservata al "collaborazionismo intellettuale parigino", cioè a dire a quel fenomeno sviluppatosi a partire dall'ultimo scorcio del 1942 in conseguenza della completa occupazione tedesca in una città che - accanto al volto di una capitale occupata - conservava pur sempre l'aspetto di metropoli culturalmente fermentante e di vitale centro di irradiazione delle più varie idee ed espressioni artistiche. Questo "collaborazionismo intellettuale parigino" assunse, per dirlo con Serra, carattere "filotedesco e filonazista, molto più che filovichysta, anzi talvolta antivychista" e rappresentò "la pagina più sulfurea del regime". A ragione Serra sostiene che, per comprendere Vichy, è necessario capire pure ciò che accadde a Parigi e che fu espresso appunto da quel "collaborazionismo intellettuale" che fece registrare meno punti di condivisione di quanto si pensi con la "rivoluzione nazionale", fu più di questa eterodiretto, non ebbe un profondo radicamento popolare, ma, paradossalmente, non si rivelò il portato casuale ed effimero di avverse circostante della storia francese. I suoi più noti esponenti, da Céline a Drieu La Rochelle come da Benoist-Méchin a Brasillach, hanno continuato e continuano a fungere da sotterranei e inquietanti protagonisti, sia pure impresentabili e maledetti, della letteratura francese contemporanea e delle pulsioni della cultura europea di fronte alle sfide della modernità. Laddove gli eroi intellettuali della "rivoluzione nazionale" sono rimasti confinati nel ruolo di utopisti del passato e di un Ancien Régime trasportato nella contemporaneità e incagliatosi nelle secche del mito del "ritorno al reale".

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