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di ROMOLO AUGUSTO STACCIOLI Mentre infuriano le polemiche attorno alla «Padania», a mente fredda vale la pena di fare qualche osservazione.

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Epure realizzata; peraltro, in un passato piuttosto remoto. Sicché, mentre è giusto dire che oggi essa non esiste, è falso affermare che non è mai esistita. Si può anche aggiungere che quella di Bossi - o di chi per lui - non è stata un'idea originale, ma, piuttosto una "copiatura". Esattamente di quello che fecero i Romani, poco più di ventuno secoli fa. Furono infatti i Romani a "inventare" la Padania. Cioè, a pensar bene di crearla quando essa ancora non esisteva. E poi, a realizzarla, sia pure con un nome diverso, nei termini geografici coi quali essa viene oggi "sognata". Lo fecero mettendo insieme i territori - tra loro diversissimi, per popolazione, lingua, cultura - dei Liguri e dei Galli, sottomessi dopo lunghe guerre, e dei Veneti, pacificamente integrati col sistema delle alleanze. La Padania romana si chiamò Gallia Citeriore (o Cisalpina) e, anche se non conosciamo la data esatta della sua costituzione, questa dovette avvenire in un arco di tempo compreso tra la seconda metà del II secolo a. C. e gli inizi del I. Si trattò, pertanto, di una delle più antiche province dell'impero. Il capoluogo ne era Cremona, la città fondata, come colonia di Roma, nel 218 a. C. (insieme a Piacenza), a guardia del Po. In essa risiedeva il proconsole, ossia il governatore, quale fu, tra gli altri, per un decennio, a partire dal 58 a. C., Giulio Cesare che da essa muoveva per le campagne di guerra che lo condussero alla conquista della grande Gallia transalpina e da essa partì, alla testa del suo esercito, per la "marcia su Roma" con la quale si assicurò il governo dello Stato. La Padania romana durò meno di un secolo. Fino al 41 a. C. Cioè, fino a quando Roma, che l'aveva creata, non decise di abolirla. Ma per farla diventare Italia, aggregandola al resto della Penisola, già da tempo - e per la prima volta - unificata e articolandola, come quella, in Regioni; le ultime quattro delle undici, create da Augusto: Aemilia, Liguria, Venetia e Transpadana. Il resto, è storia d'Italia (rimasta unita per altri cinque secoli). E a proposito di «nord» è bene chiarire un dilemma: gli antichi Romani erano un popolo del nord? L'affermazione (quasi provocatoria, un po' di tempo fa, di Mario Borghezio) non è campata in aria. L'eurodeputato leghista deve essersi rifatto a una teoria in voga tra gli studiosi tra lo scorcio dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento. Ma è da quasi un secolo che essa è stata totalmente abbandonata per la sua evidente inconsistenza. Gli studiosi del passato, avevano ritenuto di dover riconoscere l'esistenza di un popolo di invasori - denominati col nome collettivo di Italici - calato d'oltralpe nella nostra penisola, alla fine della preistoria, durante l'età del bronzo. L'apparire di questa sarebbe stata la "spia" del loro arrivo, insieme al diffondersi dei villaggi su palafitte e del rito funebre della cremazione. Alla stessa invasione si attribuiva l'indoeuropeizzazione linguistica della penisola. La teoria fu messa in crisi dalle scoperte archeologiche documentanti l'importanza e l'antichità delle manifestazioni culturali più propriamente peninsulari (o "indigene") e degli elementi di progresso e degli influssi d'origine mediterranea. S'arrivò così a un ribaltamento della situazione. Alla teoria dell'invasione dal continente e all'immagine di un'Italia primitiva popolata e incivilita dal nord si contrappose il concetto di autoctonia e di una realtà "italica".

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