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Dalle Alpi alle Ande. Walter Bonatti l'uomo delle vette estreme

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Bonatti e Messner

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Di Walter Bonatti - malato e morto ieri a Roma a 81 anni - si dice d'impulso, per definirlo, «gigante dell'alpinismo mondiale». Bonatti lo è stato. Ma soprattutto è stato un eroe italiano, perché ha raccontato il bello (volontariamente) e il brutto (involontariamente) di questo Paese. E qui si ritaglia subito la parte fondamentale della sua vita spericolata. L'impresa del K2. Che cosa ci racconta, dell'Italia? L'entusiasmo, la voglia di ricominciare, di riaffermare una superiorità - di coraggio, di tecnologia, di rigore scientifico, di imprenditorialità - dopo gli schiaffi della seconda guerra mondiale. La conquista della seconda vetta del mondo, spedizione diretta nel 1954 dal ferreo Ardito Desio, è la rivincita dell'Italietta uscita dal fascismo. Che il piano Marshall ha riossigenato, che Repubblica e Costituzione hanno sistemato. Che la ricostruzione - automobili, palazzi, cantieri navali, ferrovie, strade - vogliono lanciare tra le grandi potenze. Questo è stato il significato della bandiera italiana sull'Himalaya. Ma l'inimitabile esistenza di Bonatti, proprio qui, ci racconta un altro panorama italiano. Quello delle mezze verità, del compromesso, del machiavellismo, anche politico, dell'opportunismo, del conformismo. Della nebbia che dura decenni. E che per fortuna, alla fine, si è dissolta. Perché Bonatti conquistò il K2 ma la vulgata accreditata per mezzo secolo, la versione ufficiale scritta e sottoscritta da Desio, fu che in vetta arrivarono soltanto gli altri due alpinisti italiani, Compagnoni e Lacedelli. Dell'altro, del più giovane, di Bonatti appunto, si disse che fece parte della spedizione, ma lassù, a piantare il tricolore, non ci arrivò con i primi due. Walter, lo spericolato che già nel 1950 aveva conquistato il Grand Capucin, nel monte Bianco, che aveva già trovato irte vie d'accesso alle nostre vette, dal Grande di Lavaredo al Cervino raggiunto dalla cresta del Furggen. Walter che poi molto di più avrebbe esplorato (le sorgenti del Rio delle Amazzoni, Capo Horn, il Congo, la Guyana) quasi ci perse il senno e mezzo secolo a spiegare come era andata davvero, in quel luglio del 1954 sul K2. Per i primi due anni, zitto, obbligato dal contratto. Ma il libro «Le mie montagne», del 1962 - il primo di una serie che gli fa accostare la definizione di scrittore accanto a quella di alpinista e poi di giornalista per indimenticabili reportage sull'Europeo - dice come andò davvero. E cioè che il giorno prima della conquista della vetta Bonatti scese dal campo 8 al campo 7 per recuperare le bombole di ossigeno. Con lui è il portatore Mahdi. Quando entrambi tornano per riunirsi al resto della spedizione, non trovano il campo base 9 dove era stato convenuto, a quota 8.100 metri. È stato allestito 250 metri più in alto, una distanza che pare insignificante a chi non pratica le vie della montagna estrema. Dalla loro postazione Compagnoni e Lacedelli ordinano a Bonatti di lasciare le bombole là dove è arrivato e di tornare indietro. Ma cala il buio e muoversi è un azzardo. L'alpinista di Bergamo passa la notte lì, in una buca, senza riparo, a 50 gradi sotto zero. Al campo arriverà solo all'alba. E Mahdi, in preda al terrore e semiassiderato, dovrà subire l'amputazione delle dita della mano. Dura dal 1962 al 2004 la guerra di Bonatti per riscrivere questa pagina di storia. Rifiuta perfino il titolo di Cavaliere della Gran Croce che il presidente della Repubblica, Ciampi, vuole conferirgli insieme con Compagnoni. Il quale non spiega, allo stesso modo di Lacedelli e di Ardito Desio, che morì nel 2001, ultracentenario. Anzi, contro Bonatti erano circolate accuse di aver boicottato il successo finale, di aver scaraventato lontano le bombole. Falsità smentite da fotografie. E da Luigi Zanzi, esperto di alpinismo, che rilancia: «Senza le bombole trasportate in spalla da Bonatti, la spedizione italiana avrebbe fallito». Intanto lassù adesso si parla italiano. Negli anni Novanta è stata costruita la cosiddetta «piramide», un laboratorio ora diretto dall'erede dell'alpinismo eroico, Agostino Da Polenza. Il progetto del Cnr nel cuore dell'Himalaya è nato per misurare l'altezza dell'Everest e del K2 e si è poi esteso ad esperimenti medici e fisiologici, come la reazione del cuore alla rarefazione d'ossigeno. Dietro questa affermazione della nostra ricerca c'è anche Bonatti. Ma è appunto solo sei anni fa che la commissione d'Inchiesta del Club Alpino Italiano riconosce la sua versione dei fatti. A ruota, la conferma della Società Geografica Italiana. Però nei compassati anni Cinquanta, nessuno poteva mettere in dubbio la versione ufficiale. Tutto sotto silenzio, al punto di provocare anche il pasticcio filatelico. L'impresa himalayana doveva essere celebrata con due francobolli. Ma le polemiche - pur sotterranee - imposero lo stop all'emissione. Che fu infine bloccata, senza una spiegazione. Col corollario di far circolare a prezzi choc per i collezionisti, il bozzetto dell'esemplare da 25 lire. Solo nel 2004, a verità riconosciuta, è uscito un dentello che ricorda l'evento. Valore, 0,65 euro. Rossana Podestà, la bella protagonista del film «Sette uomini d'oro» che sposò in seconde nozze Bonatti, ha lasciato da parte ogni polemica annunciando la morte del suo «grande alpinista, giornalista, scrittore»: «Si è spento improvvisamente a Roma per una malattia», ha dettato all'editore Dalai. Mai scalata è stata tanto dura.

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