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Leone d'oro a Bellocchio. Torna "In nome del padre"

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Marco Bellocchio

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Leone alla carriera. Standing ovation per due mostri del cinema italiano a confronto. Marco Bellocchio ha ricevuto ieri il Leone d'oro alla carriera dalle mani di Beranardo Bertolucci, alla presenza del ministro Galan. "Sono un ribelle che ha rinunciato alla violenza, un rivoluzionario moderato che rivendica la possibilità di cambiare, cosa che per una certa cultura equivale ad una provocazione, ciò che non è cambiato è lo stare dalla parte di qualunque debole e soprattutto di chi non predica la rassegnazione. Per questo continuo a credere che la cosa più preziosa per un artista sia la libertà d'immaginazione - ha esordito Bellocchio annunciando che presto farò un film sul caso Englaro - Questo premio non è una riconciliazione istituzionale, ma lo considero il riconoscimento di una coerenza di fondo e di una libertà che va sempre riconquistata". "Lui amava il free cinema inglese, io la nouvelle vague - ha ricordato Bertolucci - Il destino ha voluto che nascessimo negli stessi anni e città vicine, ci siamo sfiorati, abbiamo avuto gli stessi brividi psicanalitici". Bellocchio ha portato a Venezia 68, grazie all'aiuto di Cinecittà Luce che lo farà riuscire nelle sale, una nuova versione rimontata, tagliata di 20 minuti "ma non ammorbidita" di "Nel nome del padre": "La politica negli anni '70 aveva un peso diverso - ha sottolineato Bellocchio, regista di sinistra, ricordando come nel '71 a Venezia portò "all'antifestival voluto dall'Anac, direttamente collegata al Pci, "Nel nome del padre", mentre il produttore Cristaldi lo voleva al festival ufficiale diretto da Rondi". Silvio Orlando in laguna. L'attore (già Coppa Colpi 2008) ha presentato a Venezia 68 "In missione di pace", commedia satirica sul militarismo di Francesco Lagi, che chiude fuori concorso la Settimana della Critica. Oltre al gusto di recitare "il ruolo di un antagonista" e di essere "per la prima volta in un'opera prima", c'è stata la sfida di avere come co-protagonista il nipote, Francesco Brandi (figlio della sorella). "Mi sono meravigliato di mio nipote, perché quando è entrato al Centro Sperimentale senza il mio intervento, l'hanno scelto tra migliaia. Io mi ripetevo no ce la farà, non ce la deve fare e invece ce l'ha fatta", ha scherzato l'attore. Nel film Orlando è il capitano Vinciguerra, alla guida di un manipolo di bislacchi soldati (tra cui la soldatessa Alba Rohrwacher, anche in giuria alla Mostra di Venezia) in una missione nei Balcani per catturare un criminale di guerra della ex Jugoslavia. Però, l'avversario più irragionevole per il capitano è proprio suo figlio pacifista idealista e rompiscatole (Brandi). Orlando ha poi ricordato che la sua generazione è nata con l'incubo del golpe militare, ora invece si aspetta "che arrivi qualcuno a cambiare le cose". In concorso. Sono passati ieri in concorso gli ultimi due film di Venezia 68, due applauditi e originali thriller. "Texas killing fields" di Ami Canaam Mann, figlia di Michael Mann (regista cult di "Heat La sfida" e "Collateral") e "Life without principle" di Jhonnie To, re dell'action movie di Hong Kong. Il film, ispirato a una storia vera e che sarà distribuito in Italia dalla 01, racconta le vicende di un poliziotto texano (Sam Worthington), il quale, con un agente newyorkese (Jeffrey Dean Morgan), affronta un serial killer che getta i corpi delle sue vittime in un'area paludosa chiamata Killing Fields (Campi di sterminio), in quei campi dove nel passato erano vissute tribù cannibali indiane, le uniche conosciute in America. Michael Mann, a fianco della figlia sul red carpet, ha affermato che "Ami è sempre stata sul set fin da piccola".

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