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di CARLO ANTINI Il Ministero della felicità.

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Ementre il partito dei partiti controlla il mondo dell'informazione, la sua casta si alimenta con un sistema articolato di tangenti. Del resto, in nome della felicità dei cittadini si giustifica ogni cosa. È questa l'atmosfera in cui è ambientato «Il ministero della felicità», nuovo romanzo di Sabino Acquaviva, edito da Cairo Editore. Un uomo, un intellettuale che ancora crede nel valore della cultura, dirige da poco una sezione del ministero. Non gli è chiaro chi l'abbia voluto lì ma ha in mente progetti importanti. E di quelli vorrebbe parlare al Direttore generale. Se solo lui lo ascoltasse...Invece è come se il suo lavoro non interessasse a nessuno, neppure ai «buttafango» che hanno fatto della diffamazione una pratica politica. Lo sa che non è possibile disvelare l'inganno, eppure la sua allucinata ricerca ricomincia ogni giorno: la ricerca di un interlocutore, di un senso, di un amore. L'amore della donna che lo ha abbandonato. Anche lei lavora al Ministero e lui spera di ritrovarla nel labirinto straniante di quegli uffici. Un incontro che, come gli altri, forse non accadrà mai. «Avevo faticato per anni - Acquaviva fa dire al protagonista del libro - studiato, creduto di avere capito quando, quanto e come le immagini del ministero influiscano sulla gente, sulla felicità e il dolore. Finalmente ero lì, dove potevo aiutare a vivere, salvare delle vite, combattere l'infelicità, contribuire a far maturare la civiltà. Ero dove potevo tradurre lo studio, una fatica di anni, in cose da fare. Avrei detto, spiegato, e avrebbero capito». In questa parabola dal sapore orwelliano, mai tanto dolorosamente attuale, il protagonista rivendica il valore dell'autenticità umana contro la Grande finzione mediatica. Questo libro racconta, soltanto in parte con l'aiuto della fantasia, due anni vissuti dall'autore nel mondo dei media, a contatto con la violenza esercitata dal potere reale della casta che comanda in ogni società. Denunce e incubi, d'altronde, sono soltanto uno degli ingredienti della prosa di Acquaviva. Echi kafkiani percorrono le pagine, tra i corridoi di un ministero spersonalizzante che contribuisce a mettere in crisi il già precario equilibro di un protagonista sempre più alter ego dell'autore. Espressioni come «prigione elettronica» tornano agli occhi del lettore come monito e consapevolezza di una realtà irrimediabilmente compromessa. «Il ministero della felicità» è una delicata e infelice storia d'amore tramutata in una penosa assenza. L'allucinato mondo della tv che opera in nome di un potere invisibile e velenoso. La ribellione di un uomo, la sua ultima occasione per riconoscersi libero. La lotta contro l'espressione violenta di una finta democrazia è, in fondo, anche la nostra.

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