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Lo specchio chiamato Metamorfosi

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diMARIO BERNARDI GUARDI Chissà se il Cavaliere, che, a quanto ci risulta, ha una discreta conoscenza dei classici, si è mai rammaricato di non aver avuto alla sua corte un Ovidio che lo trasformasse in astro, come fece il poeta di Sulmona con Cesare. C'è anche questo - il «leader» come stella fulgente - nelle «Metamorfosi»: un poema epico in esametri che, scavando in una vastissima tradizione letteraria greca e latina, avventurandosi in uno sconfinato patrimonio mitico, resta a testimoniare quanto possa l'estro creativo sostenuto da un ancestrale repertorio di immagini. E ne dà conferma la splendida edizione «filologica» dell'opera, giunta adesso al volume IV-libri VII-IX (Ovidio, «Metamorfosi», a cura di E. J. Kennedy, traduzione di Gioachino Chiarini, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, pp. 484, euro 30). Ovidio stava dando gli ultimi ritocchi alla sua opera (15 libri, 250 leggende rielaborate con raffinata sensibilità) e anche ad un'altra - i «Fasti» - aveva messo mano, quando - siamo nell'8 d.C. - Augusto gli ingiunse di abbandonare immediatamente Roma. Destinazione Tomi, sul Mar Nero (oggi Costanza, Romania). Solo, senza la consorte, senza il conforto delle cose che più amava. Ma perché? Cosa aveva fatto contro quell'Imperatore che lo aveva accolto nella sua cerchia di intellettuali prestigiosi (Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Gallo) e di cui lui aveva celebrato l'apoteosi? Cosa aveva fatto per essere condannato al confino, lontano dalle effervescenze della sua Roma, ricca e colta, piena di iniziative, di spettacoli, di feste, la città più bella del mondo in cui era abituato a condurre una vita brillante, circondato dall'ammirazione di tutti? Il «caso», per dir così, non è ancora chiuso, e resta per tanti versi avvolto nel mistero: pare, comunque, che Ovidio fosse implicato in uno scandalo di corte o che avesse svolto il ruolo di «messaggero d'amore» di Giulia, scostumata nipote di Augusto, o che nell'«Ars amatoria» - un altro dei suoi libri fortunati, ritirato dalle biblioteche su disposizione dell'«indignato» Augusto - ci fossero sin troppe allusioni alle vicende erotiche del «Palazzo». In ogni caso, e sempre per dirla in latino, «nihil sub sole novi»: per feste, festini e dintorni, c'è sempre qualcuno che paga, e nella Roma augustea le mazzate le prese un intellettuale «organico». Il quale pregò, pianse, si disperò, ma alla fine dovette accettare il suo destino, traendo dalle amarezze almeno un conforto, e cioè il fatto che la vena artistica non gli si disseccasse. Anzi. Molto scrisse, infatti, durante l'esilio: tra cui i cinque libri dei «Tristia», una raccolta poetica in cui racconta le sue amare vicende. E nel libro secondo c'è anche posto per una lunga elegia, 578 versi!, che costituisce una vera e propria autodifesa rivolta ad Augusto, nella speranza che l'Imperatore addivenisse a più miti consigli. Niente da fare: l'«immorale» Ovidio non rivide più i marmi trionfali dell'Urbe. Ma torniamo alle «Metamorfosi». Come ci ricordano i curatori della nuova edizione, questa meravigliosa avventura dello spirito, che con le sue invenzioni eleganti e i suoi virtuosismi stilistici suggestionò Dante, Shakespeare, e pittori, scrittori, musicisti di ogni paese e di ogni età, «non è solo la "summa" del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo». Nel fluttuare degli eventi, tra uomini e dèi, eroi e ninfe, pietre e ruscelli, animali e mostri, viaggi e prodigi, c'è scritta la nostra cangiante, eterna storia. «Tutto muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne»: e noi, affascinati, siamo spettatori e protagonisti. Insomma, al pari di altre grandi opere letterarie (abbiamo citato Dante e Shakespeare: pensiamo allora alla «Divina Commedia» e all'«Amleto») le «Metamorfosi» sono il nostro specchio: «dentro», come in uno specchio, come nell'«enigma» dello specchio, per dirla con San Paolo, ci sono l'ambiguità, l'allusione (illusione?) del vero, l'approssimazione alla verità (ma quando?). In particolare, in questo quarto volume, si incontrano vicende celeberrime, personaggi, volti che fanno parte dell'immaginario universale: Medea, Giasone, gli Argonauti, Dedalo, Icaro... Lo spazio immemoriale del Mito: archetipo, fantasia, velo del vero. Incanti ancestrali, echi di attinte lontananze, sogni e bisogni come sempre mescolati. E qui artificio ed arte sono davvero eccellenti. Ma, del resto, come non attendersi eccellenze da questo maestro dell'epica che con tanta sensibilità ha saputo esplorare gli abissi del privato? Ovidio, le «Metamorfosi», poema di terra e di cielo. Ma anche altre «metamorfosi»: i paradossi teneri e strazianti dell'amore. Ricordate la frase tanto cara a vecchi e giovani amanti di ieri, di oggi, di sempre? «Nec sine te, nec tecum vivere possum», non mi è possibile vivere né senza te, né con te». Bene, chi dell'amore ha detto questo, dell'amore ha capito tutto.

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