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di CARLO ANTINI Pregare se non aiuta certamente non nuoce.

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Sapevache per governare gli italiani bisogna fare i conti con la Chiesa. Ieri come oggi. Il suo rapporto con il cattolicesimo è stato sempre volutamente ambiguo. Ateo convinto, il Duce si era conquistato il favore degli squadristi grazie alla sua veemente retorica anticlericale, ma una volta salito al potere nel 1922 non esitò a cambiare rotta pur di assicurarsi il sostegno e la legittimazione delle gerarchie vaticane. Di questo parla «La Chiesa di Mussolini - I rapporti tra fascismo e religione», scritto da Giovanni Sale, docente di Storia della Chiesa contemporanea alla Pontificia Università Gregoriana. Setacciando gli epistolari e gli archivi per recuperare documenti inediti e molto spesso rivelatori, Giovanni Sale riporta alla luce i retroscena di una lunga trattativa culminata nella firma dei Patti Lateranensi, ricostruisce le posizioni delle parti, ora dettate dal tornaconto, ora dallo sdegno, e dimostra l'astuzia di una strategia ben dissimulata che permise a Mussolini di impostare il fascismo come nuova religione di Stato. Attraverso ricerche accurate, Sale mette in evidenza che, nel corso del Ventennio, Mussolini concesse agevolazioni non richieste, intavolò delicate trattative diplomatiche per risolvere la questione romana, mitigò cinquant'anni di legislazione separatista, arrivò a fingersi rispettoso delle tradizioni portando all'altare donna Rachele: un'avveduta politica della «mano tesa» che aveva il duplice obiettivo di guadagnare credibilità nazionale e internazionale e di rassicurare il diffidente elettorato cattolico. Il Duce ben sapeva che la quasi totalità degli italiani erano cattolici, in buona parte praticanti e fedeli alle direttive della Gerarchia. Pienamente consapevole che non poteva prescindere dalla forza che la Chiesa rappresentava in Italia e nel mondo, egli vide subito l'utilità, nonché la necessità, di annodare rapporti con la Santa Sede e di venirle incontro come poteva. Affermò di voler fare del cattolicesimo uno dei pilastri della vita nazionale, perché la religione «è patrimonio sacro dei popoli». Ma allo stesso tempo il Duce esautorava il Partito Popolare di don Sturzo e soddisfaceva le istanze dei fascisti della prima ora incoraggiando le aggressioni al clero locale e alle cooperative bianche (atti di violenza che in pubblico condannava). Intanto, il Papa si barcamenava in una strategia prudente e attendista che, nell'intento di assicurarsi maggiori privilegi, condannò poi il Vaticano ad accettare compromessi sempre più pesanti, fino a rinunciare al controllo sull'associazionismo e l'educazione giovanile. Dal canto suo, la religione tradizionale era una fonte inesauribile di ispirazione per il partito fascista che si presentava come una nuova religione civile, ma non intendeva entrare in conflitto, dal punto di vista dogmatico e organizzativo, con il cattolicesimo. Il Duce sapeva bene di non poter rivaleggiare con la Chiesa: meglio quindi trovare un'intesa e utilizzarne l'autorevolezza e il prestigio per rafforzare il regime. Facendosi proclamare agli occhi del mondo «uomo della Provvidenza».

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