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Quelle vittime divise per colore

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Una manifestazione di estrema destra

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Le aspre polemiche che hanno accompagnato la collocazione di una targa a piazza Vescovio in ricordo di Francesco Cecchin, sono servite a comprendere che non basta dedicare un strada ad una vittima della violenza politica per pacificare. I fatti. Francesco Cecchin, studente, diciassette anni, militante del Fronte della Gioventù, fu trovato mortalmente ferito nella notte tra il 28 e il 29 maggio 1979 nel quartiere Trieste, in un cortile, ai piedi di un muro alto 5 metri, dopo essere stato inseguito e pestato violentemente da avversari politici che lo avevano poi gettato nel vuoto. Morirà il 16 giugno dopo una lunga agonia. L'omicidio di Francesco non è un evento isolato. Deve essere inquadrato nel contesto storico in cui si è verificato. In quel periodo il divario tra destra e sinistra era divenuto un baratro. Da qui la lotta senza tregua, all'insegna dell'odio e della vendetta tra gli opposti schieramenti. Il terrorismo diffuso si era allargato a macchia d'olio nelle grandi città. Dal '77 ai primi anni Ottanta, particolarmente a Roma e Milano, i "nemici" venivano individuati, schedati, segnalati, bastonati, sprangati, gambizzati, ammazzati: a scuola, sui posti di lavoro, nelle strade, in mezzo alla gente, vicino alle edicole mentre si acquistava il giornale, sui mezzi pubblici, allo stadio, dentro i cinema o in modeste pizzerie. L'esplosivo era usato per far saltare in aria sedi sindacali, di partito, circoli culturali o ricreativi, commissariati o caserme dell'Arma, bar frequentati dai "nemici" politici, locali commerciali. Mentre sotto le porte delle case veniva fatto filtrare liquido infiammabile. E poco importava se in quelle abitazioni si trovavano anche bambini, vecchi o invalidi. Dopo il 1977, solo a Roma, erano stati uccisi dieci missini, dei quali ben cinque nella fascia Roma Nord (Montesacro, Salario, Trieste-Africano, Talenti) una volta considerata una zona tranquilla, abitata dalla media ed alta borghesia, dove la destra era padrona del campo. A metà anni Settanta i gruppi dell'ultrasinistra, forti nelle cinture periferiche (Pietralata, Tiburtino III, Tufello, Valmelaina, San Basilio), avevano iniziato il loro micidiale accerchiamento. A tutto ciò si aggiunse in seguito la presenza dei giovani di destra che avevano preso le distanze dal Msi e militavano in Terza Posizione (a loro volta in concorrenza con i terroristi dei Nar). Conseguenza: un equilibrio di forze, precorritore di feroci scontri tra i vari schieramenti per la conquista del territorio. Ecco spiegato il numero così alto di attentati, ferimenti, omicidi (tra cui rientrano anche quelli ancora oscuri dell'autonomo Valerio Verbano - su cui la magistratura ha riaperto il caso - e del giovane missino Angelo Mancia). Dopo la cerimonia in memoria di Cecchin, Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, ha affermato che "non ci interessa che venga intitolata una piazza a questo o quello, ma che nasca una coscienza comune, dato che il sacrificio dei ragazzi degli anni di piombo può diventare un monito, un insegnamento su cosa sia la violenza politica". Parole sagge, realistiche e ponderate, quelle della Meloni anche quanto ha detto che gradirebbe "che la storia di queste vittime fossero raccontate nelle scuole da familiari e amici. Che non restassero retaggio di un gruppo politico, ma diventassero i martiri dell'Italia intera. Ma ci vuole coraggio, nel considerarli tutti di serie A". La Meloni ha centrato in pieno il problema. Puzza invece di strumentalizzazione politica il progetto dell'assessore alla cultura Dino Gasperini che ha preannunciato l'istituzione di una "consulta cittadina sulla memoria condivisa degli anni di piombo". Una consulta cittadina che possa disporre l'intitolazione di altre strade o piazze in ricordo delle vittime del terrorismo? Oppure che possa fare luce sugli angoli bui di quel periodo? Un'indagine che riguardi unicamente Roma? Una consulta di cui facciano parte i politici d'ogni parte politica relegando in secondo piano gli storici e gli studiosi del fenomeno terroristico? E chi dovrebbe formare questo organismo strampalato? Altra perla è quella della "memoria condivisa", un'idea che piace pure al sindaco, teso più che altro ad attenuare le bordate dell'opposizione, in un momento cruciale dell'amministrazione capitolina, ed ottenere consensi bipartisan sul tema degli anni di piombo. È la stessa tattica utilizzata per perseguire l'obiettivo di fare assegnare le Olimpiadi 2020 a Roma, tentando di coinvolgere persino gli ex sindaci Rutelli e Veltroni. Che ci sia la necessità di una seria ricerca storica sugli anni di piombo senza pregiudizi di sorta, colorazioni o strumentalizzazioni politiche, influenze ideologiche, è fuor di dubbio. La società italiana, litigiosa, settaria, provinciale, almeno per il momento non è matura per compiere questo passo indispensabile. Ecco perché Giorgia Meloni ha constatato con amarezza che nel Duemila, da parte della sinistra, si tenti ancora di discriminare. Purtroppo nel nostro Paese non sono stati smaltiti gli effetti devastanti della guerra civile 1943-45. Come non registrare, infatti, le recenti negative prese di posizione di alcuni settori della sinistra per il "Giorno del ricordo" in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata o per il riconoscimento della qualifica di militari belligeranti ai combattenti della Rsi? O per la richiesta di estradizione del terrorista rosso Cesare Battisti? Come continuare a considerare la "strage di Natale 1984" sul treno rapido Napoli-Milano, opera di "fascisti", come recita una targa che fa bella mostra in piazza Maggiore a Bologna, mentre la magistratura ha accertato definitivamente che l'attentato venne compiuto dalla mafia? Per non parlare della strage alla stazione di Bologna dell'agosto 1980, orchestrata dai terroristi neri…. Senza obiettività e pacificazione non si va da nessuna parte. Altro che "memoria condivisa" che tra l'altro, può nascondere l'esigenza, da parte di chi ha scheletri nell'armadio, di mettere un coperchio sugli anni di piombo. Ritengo che la via migliore da battere sia quella della "memoria aperta", ossia la convergenza in un contenitore storico delle testimonianze dirette o indirette, delle analisi, delle indagini, degli studi, di tutti coloro che cercano effettivamente la verità. Se i giovani caduti negli anni di piombo, di destra o di sinistra, potessero parlare non chiederebbero targhe, monumenti o cerimonie, ma solo giustizia.

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