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Bernstein

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Leonard Bernstein è stato un compositore onnivoro, in grado di esprimersi in una impressionante varietà di forme e di linguaggi, mattatore del podio e divulgatore musicale di grande fascino.  È stato altresì un artista cosiddetto impegnato, pronto a sostenere qualsiasi causa benefica e sociale. In sostanza un firma tutto, anche se non ne aveva bisogno, vista la caratura artistica. Apprendiamo ora dalla imponente biografia di Barry Seldes - «Leonard Bernstein, vita politica di un musicista americano» - che è stato anche un artista perseguitato e spiato. Il fatto è che fiorisce da anni una pubblicistica «impegnata» avente come scopo principale quello di rendere note le devastanti storture dei principali istituti investigativi americani nei confronti di un certo genere di artisti. Si tratta di libri quasi sempre ben architettati, decisamente attraenti, il cui unico limite è quello della faziosità. Il metodo è sempre lo stesso. Si prende un artista noto e si mettono a nudo le «persecuzioni» subite, le spiate e l'accanimento nei suoi confronti, quasi sempre da parte dell'Fbi. Ci sono artisti che diventano importanti se arrivano al n. 1 in classifica, altri lo diventano solo se si apre un dossier nei loro confronti. Il caso più clamoroso di artista «spiato» è probabilmente quello di John Lennon, sul quale probabilmente si è esagerato. In Italia pare che, almeno per un certo periodo, spiatissimo fu Fabrizio De Andrè. Gli esempi non sono calzanti, trattandosi di due artisti talmente importanti che il discorso sulla popolarità anomala non regge, anche se personalmente ho sempre nutrito dei dubbi su certi presunti accanimenti. L'ultimo esempio ci arriva da Barry Seldes, docente di Scienze Politiche alla Rider University e autore di numerosi saggi sulla politica e la musica. Seldes ha indagato lungamente sulla vita e la vicenda artistica di Leonard Bernstein, dimostrando che il celebre compositore e direttore d'orchestra fu costantemente spiato, sospettato e sabotato dal potere politico americano al punto da lasciare profondi segni sulla sua carriera e sulla sua personalità. È chiaro che la popolarità di Bernstein si estese nel buio periodo del maccartismo, con il suo pesante fardello di censura, liste nere, caccia agli omosessuali e psicosi anticomunista, ovvero in un periodo in cui per gli artisti di un certo tipo era fin troppo facile cadere in disgrazia. Ma da questo a sostenere che la vita artistica del celebre maestro fu un compendio di frustrazioni e aspirazioni negate ci passa. Senza contare che Leonard Bernstein, impegnato o no, aveva ben altre carte da giocarsi nel voler esprimere il suo pensiero. Per esempio lo sconfinato talento. Valga per tutti «West side story», la commedia musicale che debuttò a Broadway nel 1957 e cinque anni dopo avrebbe sbancato il box office al cinema. Bernstein riuscì a calibrare la sensibilità ritmica latina con il jazz e con la propria immaginazione lirica per creare la più grande partitura urbana americana dei suoi tempi. Il blues, il presagio tragico, le citazioni di «Giulietta e Romeo», l'alternanza dello slang delle bande, le coreografie che tutti avremmo voluto ballare costituirono uno sfondo indimenticabile. Così come trent'anni prima George Gershwin aveva miscelato il suo estro di musicista colto con l'ideale collisione con il blues in «Porgy & Bess», Bernstein propose le contraddizioni della società americana così precisamente che vent'anni dopo «La febbre del sabato sera» la ripropose con la medesima euforia e forse con maggior disperazione. E tutto questo con i dossier non ha nulla a che vedere.

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