Due veri amici uniti da ciò che non hanno
Maa un tratto arriva il momento in cui questo imprigionato trantran senza cielo finisce. Gigi comunica al compagno di tanti giri a vuoto di essersi innamorato, ricambiato, di una ragazza, e che intende sposarla. Filippo, «quello corto», piomba nella solitudine più agghiacciante, «dietro i vetri di una quarantena perenne», patendo l'allegria degli altri, mentre la vita «se ne va, ininfluente, distratta, a onde brevi». «Sabato, addio» (Feltrinelli, pp. 136, euro 13), di Marco Archetti, ribadisce i risultati convincenti ottenuti con Lola Motel (2004) e via via fino al più recente «Gli asini volano alto». Ora si parla di una solitudine, di un'esclusione, di un'ossessione che sostanziano una pagina sorretta spesso dall'aggressività delle similitudini, da certe trame ritmiche e stilistiche incentrate sul rancore dell'io offeso, sulla disposizione strategica di immagini feroci che scorrono sotto gli occhi del personaggio avvampandolo con una carica di oggetti frammentati e schizzati da una realtà di inganni, incombente e lontana come in una pellicola. In un viaggio esotico, intrapreso quale estremo tentativo di salvezza, Filippo incontra Marlén, bellissima ballerina che lo segue in Italia. Sembra che la felicità sia finalmente a portata di mano, ma dopo qualche tempo l'uomo sente che qualcosa non va e subisce un ulteriore scacco. Lei sempre più distante e perduta nel «sisma sonoro di una canzone idiota»; lui, proteso con ostinazione a voler cambiare le cose. Ma «le cose non cambiano»: ed ecco nuove macerie per questo «cavaliere disarcionato» e risospinto nel precipizio, contro una verità tanto devastante da somigliare a un incubo. Impossibile riavvolgere un nastro per ritrovare parole che non esistono nemmeno dentro la memoria. Sono parole «scolpite nell'aria» che non si possono più «richiamare indietro», ma fanno parte di quel mondo allucinato in cui un lampione «incipria un divano»; occhiali «vibrano colpi di coltello a ogni riflesso»; Piazza Loggia è «in mostra come in un vassoio». Tuttavia, in un siffatto allarmato scenario, è possibile cogliere una leggera accettazione sapiente, verniciata di malinconia, che suggerisce di non catapultare gli eventi verso l'esito conclusivo, poiché tutto va a posto da sé, «per pura meccanica di conseguenze».