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Lars Von Trier choc

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dall'inviatoa Cannes Dina D'Isa A tre giorni dalla cerimonia del Palmares di questa 64esima edizione del Festival di Cannes, cominciano i pronostici per il totopalma. I film che dividono la critica sono «The tree of life» di Malick e «Melancholia» di Lars Von Trier (che però dopo le sue scioccanti dichiarazioni si è giocato il premio). Tra i due contendenti entra poi «Le Havre», favola sull'immigrazione del finlandese Kaurismaki (più apprezzato dai critici internazionali che non dai francesi). Al secondo posto per i bookmakers si piazza il film muto francese, in bianco & nero, «The Artist» di Hazanavicius. Scendendo al terzo posto, spicca «Polisse» della francese Le Besco, dramma sugli abusi ai minori. Per «Habemus Papam» si vocifera una Palma d'oro al protagonista Michel Piccoli. E tra le attrici la lotta è tra Tilda Swinton («We need to talk about Kevin») e Kirsten Dunst, co-protagonista con Charlotte Rampling di «Melancholia» di Von Trier. All'appello manca però il tris d'assi di Pedro Almodovar (oggi in concorso con «La piel que abito»), di Sorrentino («This must be the place») e del romeno Mihaileanu («La source des femmes»). Applausi e qualche fischio hanno accolto ieri l'atteso «Melancholia», su una fine del mondo senza effetti speciali, ma molto personale e intima, vissuta da due sorelle, Gainsbourg e Dunst, nel ruolo della donna depressa, dopo che la Cruz alla vigilia delle riprese aveva rinunciato alla parte che il regista danese aveva scritto proprio per Penelope. Ispirato idealmente al romanticismo tedesco (e arricchito dalla musica wagneriana di Tristano e Isotta), il film è pieno di evocazioni dei pre-raffaelliti, della pittura classica nordica, del cinema di Antonioni, Kieslowski, Visconti e anche Bergman. Su tutto domina però il tema della Melancholia (quel mal de vivre che sconfina nella depressione, la stessa che sembra aver colpito anche Von Trier). Il film si divide in due storie ben distinte. Quella della sorella infelice (Dunst), che tenta la strada del matrimonio, ma la prima notte di nozze rifiuta il marito e fugge con il suo vestito bianco nel parco del castello, dove violenta uno degli invitati sul prato. E la seconda parte, illividita dall'arrivo del pianeta Melancholia in collisione con la Terra: qui, i ruoli si invertono, la sorella vitale (Gainsbourg) va nel panico mentre la depressa, votata al pessimismo, trova naturale che tutto scompaia e riesce a dare forza ai sopravvissuti, compreso il nipotino. «Il mio non è un film sulla fine del mondo, ma su uno stato mentale, la depressione, che è quello della mia vita adesso - ha confessato Von Trier in un incontro carico di umorismo feroce nel quale ha scherzato anche sul suo "essere nazista" - Credevo di avere origini ebree ed ero contento, poi ho scoperto le mie origini tedesche, sono un po' nazista anche io e sono contento lo stesso. Capisco Hitler, perché capisco l'uomo che ha dentro di sé il male. Sono contro la Seconda Guerra Mondiale e mi sento vicino agli ebrei, ma non troppo perché Israele è un problema (come un dito nel culo, fa cag..). Adoro l'architetto Albert Speer, aveva un grande talento. Come regista nazista - ha concluso in un monologo un po' insensato in cui ha proposto persino a Dunst e Gainsbourg di fare un film porno prodotto dalla sua società - penso adesso ad una pellicola sulla soluzione finale, per i giornalisti». Ma, dopo le sue dichiarazioni sulle simpatie naziste e le offese agli ebrei, il regista in una nota ufficiale, sollecitata dal festival di Cannes, si è scusato precisando «di essere caduto in una provocazione». Fuori concorso è passato ieri anche il contestato «La conquista» di Xavier Durringer, film che ripercorre ascesa pubblica e caduta privata dell'uomo politico Nicolas Sarkozy mentre vince la battaglia per il potere e perde quella per l'amore di sua moglie Cecilia. «La generazione di politici cui appartiene il presidente dei francesi, come il vostro Berlusconi, é la prima che assomiglia agli uomini di spettacolo - ha spiegato il regista - Non posso però fare paralleli che conosco poco, come la realtà italiana. Semmai, trovo affinità tra le vicende delle donne che hanno scelto di stare lontano dal potere, come la vostra Veronica, o Cecilia. Mi ha ispirato soprattutto l'idea della solitudine del potere e della falsità eretta a sistema di consenso. Proprio quella falsità che a un certo punto una donna non riesce più a tollerare, non riuscendo più a distinguere nel suo uomo la linea di demarcazione tra ciò che è vero e ciò che si vuol credere tale».

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