Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di GABRIELE ANTONUCCI «Ho un rapporto curioso con ciò che scrivo.

default_image

  • a
  • a
  • a

L'alfabetoè un'arte e mi piace vederne le forme». Così Don DeLillo ha raccontato, alla vigilia del reading al Festival Letterature, il suo rapporto viscerale con la scrittura. Thomas Pynchon lo ha definito «la voce più eloquente della letteratura americana», mentre David Foster Wallace ha più volte sottolineato di prendere ispirazione dai suoi monumentali romanzi. Settantacinque anni, di origini molisane ma nato e cresciuto nel Bronx, De Lillo è considerato uno dei maestri del postmoderno per le sue straordinarie doti di imparziale narratore delle vicende della società americana. Piccolo di statura, magro, sguardo severo, lo scrittore risponde alle domande con la stessa acutezza e precisione che caratterizza la sua narrativa. Stasera leggerà il testo inedito «La vecchia e il nano», scritto appositamente per il Festival Letterature. Cosa può anticiparci? «Mi sono ispirato al viaggio che i miei genitori fecero dal Molise fino a New York. Nel testo metto a confronto due Americhe: quella dei miei genitori, con le straordinarie promesse agli emigranti di condizioni di vita migliori e l'America della mia esperienza, definita dall'assassinio di Kennedy in poi». Qual è il suo rapporto con il tempo? «Il tempo riguarda soprattutto la perdita, ma anche il mistero. Una volta ho incontrato un professore di Filosofia, al quale ho chiesto di fare una conversazione sul tempo. Mi rispose sprezzante: "Il tempo è troppo difficile". Forse era meglio rivolgersi a un cosmologo o a un fisico». Finalmente anche in Italia verrà pubblicato da Einaudi «La stella di Ratner», dopo 35 anni dalla sua uscita in America. Che ricordi ha di quel periodo? «È un romanzo insolito rispetto agli altri che ho scritto, è la stella più remota della mia galassia, lontana anni luce da quello che sono oggi. Non so cosa mi abbia spinto a scrivere un romanzo sulla matematica. Forse, semplicemente, allora ero matto». Uno dei suoi libri più fortunati è «L'uomo che cade», ispirato dall'attacco terroristico alle Torri Gemelle. Che cosa cambierà ora, dopo l'uccisione di Bin Laden? «È una domanda molto difficile. Nella vita americana convivono stabilmente paganesimo e fondamentalismo religioso. Ormai ci siamo abituati a convivere con un pericolo invisibile, più intimo, che ci riguarda ogni giorno. In ogni momento il terrorismo è intorno a noi». Chi racconta meglio la realtà, la narrativa o i media? «C'è chi dice che il giornalismo sia la prima bozza della storia. La narrativa è la versione definitiva, non perché lo scrittore sia più percettivo, ma perché scende nel profondo dell'intimità delle persone, fino ad arrivare ai suoi pensieri e persino ai suoi sogni». Che rapporto ha la musica nel suo modo di scrivere? «Da giovane andavo spesso nei club di New York ad ascoltare jazz. Non so se ci sia un rapporto diretto, ma sicuramente la musica si è infiltrata nella mia scrittura. Una volta un critico letterario ha scritto che la mia narrativa ricorda il jazz di Thelonious Monk. Non mi viene in mente un complimento migliore di questo».

Dai blog