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Tre colpi contro il Papa scomodo

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diANTONIO ANGELI «Erano altri tempi»: con questa semplice battuta il giudice Ilario Martella, che fu titolare dell'indagine sull'attentato a Giovanni Paolo II, ricorda gli Anni Ottanta. Gli anni di un Papa «molto fastidioso, che aveva un effetto destabilizzante» su un regime già in crisi. Il regime comunista dell'Unione Sovietica. Contro Giovanni Paolo II, il papa che ha cambiato il Mondo, furono esplosi tre colpi di pistola. Un attentato sul quale non è ancora stato detto tutto. Getta un fascio di luce su quel momento drammatico della Storia un saggio di grande spessore: «13 maggio '81: tre spari contro il Papa», con un sottotitolo chiaro: «Il giudice titolare dell'istruttoria racconta le ricerca della verità su Ali Agca, i mandanti internazionali, Emanuela Orlandi», di Ilario Martella, 250 pagine, 14 euro, edito da Ponte alle Grazie. Giudice Ilario Martella, il 13 maggio 1981, quante persone erano in piazza San Pietro per attentare alla vita di Giovanni Paolo II? «Due, uno era Ali Agca, l'altro fu indicato come complice, dallo stesso Agca, come Oral Celik. La presenza del complice è certa e documentata da materiale fotografico». Ma solo Agca fu condannato... «L'attentato fu un fatto di una gravità epocale. L'uomo che fu bloccato dalla folla e arrestato dalla polizia, Agca, sostenne subito di aver agito da solo. Per questa sua palese, indubbia colpevolezza, fu condannato, poco dopo l'attentato, all'ergastolo». Ma...? «Excusatio non petita, accusatio manifesta, Agca disse subito la parola: "Solo. Sono solo io". Dopo il processo, nonostante ci fosse un condannato, i sospetti che potesse non essere da solo erano forti. Il Procuratore generale di Roma ha avocato a sé l'indagine e ha chiesto all'Ufficio Istruzione, diretto allora da Ernesto Cupillo, una nuova indagine». Quando è cominciata e quanto durò la sua inchiesta? «Iniziò nel novembre dell'81 e proseguì fino all'ottobre dell'84». Come le fu comunicato l'incarico? Fu un'istruttoria complessa? «Mi chiamò il capo dell'Ufficio Istruzione e mi chiese se volevo accettare l'indagine. Dissi subito di sì e fu un'istruttoria complessa e sofferta. Ci vorrebbe una settimana per spiegare quanto. Intanto di italiano non c'era quasi nulla. Il fatto stesso non era avvenuto in territorio italiano. Ma ho trovato aiuti eccezionali, intanto dalla polizia, in particolare dall'ufficiale di polizia Lidano Marchionne. Poi dalla Germania, dall'Austria, dalla Svizzera e dalla Turchia». Perché il complice non fu catturato subito? «Fu più fortunato, riuscì a scappare. Dovevano anche essere usate delle bombe stordenti... ma non furono usate». Perché «Non so. Non ci furono. Noi dobbiamo sempre stare ai fatti così come si verificano, non come li immaginiamo. È brutto quando il giudice o il poliziotto si formano un autoconvincimento». Cosa c'è ancora da scoprire su quell'attentato? «Sono fatti che vanno riletti alla luce della Storia, appare chiaro da alcuni documenti desecretati il coinvolgimento della Bulgaria, della Stasi... anni dopo la caduta del Muro di Berlino si potranno trovare altre verità». Per quell'indagine fu minacciato Lei e la sua famiglia. Ha mai pensato di mollare? «Mai. Ho cercato però di non far capire a mia moglie quanto fosse grave la situazione».

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