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Il Vate nel Medioevo

Un dipinto del preraffaellita Dante Gabriel Rossetti

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«Non si sogna il medioevo perché sia il passato, perché di passati la cultura occidentale ne ha millanta, e non si vede perché non si debba tornare alla Mesopotamia o a Sinuhe l'egiziano. Ma è che, ed è stato detto, il medioevo rappresenta il crogiolo d'Europa e della civiltà moderna». Umberto Eco individuava alcuni anni or sono, durante un convegno dedicato al revival del medioevo e ai suoi equivoci, dieci differenti modi - taluno sconsigliabile - di "sognare il medioevo". Tra essi, egli identificava allora "un medioevo carducciano, tutto restauro, a celebrazione della Terza Italia, un po' falso e un po' filologico, tutto sommato bonaccione e ipocrita, funzionale alla Rinascita e allo stabilizzarsi di una Nazione in cerca di identità. Ma parente del medioevo decadente, quello di Des Esseintes sui manoscritti della tarda latinità, per intenderci, e di certo dannunzianesimo, e dei preraffaelliti, e di Ruskin e di Morris". Il "certo dannunzianesimo" chiamato in causa da Eco resta un valore ambiguo, che può essere interpretato tanto nel senso di parte dell'ispirazione e dell'opera dannunziane quanto come aspetto della moda - non solo estetica e stilistica - che dal D'Annunzio prese il via e che perdurò come sappiamo a lungo, non senza ricorrenti cenni di ripresa. Ma in che senso il D'Annunzio avrebbe "sognato" - e magari rivissuto, e magari "usato" - il medioevo all'interno di una temperie nella quale Eco, a ragione, include non solo il Carducci ma anche Dante Gabriele Rossetti "con tutto il neotomismo medievaleggiante dei Fedeli d'Amore e le interpretazioni occultistiche di Dante"? Qui il discorso finisce con il coinvolgere l'intero problema del revival medievale e dell'"uso del medioevo" tra Otto e Novecento, in una pluralità di temi e di spunti che riguardarono un D'Annunzio non meno che - in modo diverso - un Benelli o un Coppedè, il gotico-ipergotico e l'eclettismo in architettura, gli esiti tardivi del romanticismo e la "nazionalizzazione delle masse" nel suo aspetto folklorico-rievocativo (si pensi all'Assisi "rimedievalizzata" durante il governo podestarile di Arnaldo Fortini e al rilancio, tra periodo immediatamente postunitario e fascismo, di giochi e manifestazioni quali il Palio di Siena, la Giostra del saracino di Arezzo, il Calcio "in Livrea" di Firenze, ultimamente - frutto un po' attardato - il Calendimaggio di Assisi). Senza dubbio quella parte dell'ispirazione dannunziana che in un modo o nell'altro si rifece ad aspetti e momenti del mondo medievale ebbe per un verso molto a che fare con la versatilità e la curiosità almeno formali del poeta, ma per un altro s'ispirò a una tradizione scolastica al suo tempo ormai consolidata e per certi versi addirittura convenzionale, al modello carducciano, a un'erudizione già retoricizzata, insomma al lavoro di approfondimento di un'identità nazionale che ancor si sentiva giovane e insicura e che nella rivisitazione del passato cercava le sue scaturigini più autentiche o qualcosa che retoricamente e demagogicamente fosse in caso di surrogarle. Identità nazionale come volontà d'esser nazione: e uso del medioevo come strumento di tale volontà. Ma basta, tutto ciò, a qualificare i molteplici aspetti degli spunti medievalizzanti presenti nell'opera dannunziana? O è più giusto interpretare e valutare tali spunti al livello della pura indagine estetico-tematica, della ricerca freddamente tattica di argomenti, scenari e "paesaggi" di volta in volta più adatti a creare atmosfere retoriche, o edonistico-sensuali, o eruditamente evocative? Vi sono molti aspetti del medioevo - un "medioevo" riflesso ora di reminiscenze scolastiche, ora di immagini di consumo desunte dalla cultura postrisorgimentale divulgata attraverso il melodramma o le arti plastico-figurative - che il D'Annunzio volta per volta privilegia: quello delle memorie cittadine e delle lotte comunali, quello delle conquiste sul Mediterraneo, quello delle leggende epico-cavalleresche, quello delle realizzazioni poetiche ed artistiche, quello della tensione mistica, quello del mondo folklorico, quello del fascino pregnante di figure quali Dante e Francesco d'Assisi. E vi sono territori "contigui" e "analoghi" rispetto al medioevo, che egli mobilita di continuo con spregiudicatezza tematica e duttilità stilistico-morfologica: essi sono la fine dell'antichità e la "decadenza" dell'impero romano, poi prolungata nella lunga, dorata agonìa bizantina; la fine del medioevo, vissuta nei caratteri volontaristici e sovrumani caratteristici della poetica dannunziana che elabora e ripropone i temi wagneriani e nietzscheani e che approda a una delle cultura che il poeta (naturalmente manipolandola e in più sensi falsandola) privilegia, quella rinascimentale; la tematica del magico e del meraviglioso, dove tuttavia la cultura dannunziana costeggia l'àmbito esoterico-occultistico fin de siècle; il mondo dei riti, dei costumi, delle tradizioni "popolari" visto sì con l'occhio degli studi folklorici vivi nello scorcio tra il secolo passato e il nostro ma analizzato con una sorta di freddezza evoluzionistica corretta peraltro da un'arbitraria ma feconda inventiva; infine l'Oriente (soprattutto Bisanzio e il "Levante" mediterraneo, ma anche l'Islam arabo, turco-ottomano e barbaresco) in certo senso vissuto e interpretato come un "altro-da-sé" etnogeoculturale parallelo all' "altro-da-sé" temporale appunto costituito dal medioevo e animato pertanto, rispetto ad esso, da una sorta d'immaginario parallelo, qualificato del resto da dense e frequenti convergenze. Questi confini, d'altra parte sul piano obiettivo largamente ovvii, debbono esser tenuti presenti anche dato il continuo sconfinare e il costante astorico-anacronistico mischiar le carte dello scrittore dinanzi a una materia il cui tessuto storico è considerato e trattato di solito con grande sfoggio erudito, ma anzitutto come un pretesto ora stilistico e scenografico, ora retorico ed esornativo. Questo "medioevo" si ritrova, sempre nuovo, nel teatro (Francesca da Rimini e La Pisanella; ma per certi versi anche La figlia di Iorio), nelle opere liriche (specie le Canzoni di gesta) e nelle prose, come lo studio sull'Anonimo Romano e Cola di Rienzo. Dietro al D'Annunzio poeta e "Vate", non va mai dimenticato lo studioso. Un medioevo "finto" e "reinventato". Forse meno "falso" però di quanto non si dica e non si creda. A meno che, a non dir male di D'Annunzio, non si corra il rischio di venir tacciati di "revisionismo". Cosa che, di questi tempi, non stupirebbe.

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