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La televisione della censura

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Nicola Saviano e Fabio Fazio

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Pubblichiamo un'anticipazione del libro di Giampaolo Pansa «Carta straccia - Il potere inutile dei giornalisti italiani», in libreria dal 4 maggio. Il presente e il futuro dell'informazione in 50 anni di incontri e scontri con i protagonisti del giornalismo. Fatti e misfatti, faziosità e vendette in un libro che farà arrabbiare e discutere. «Non si tratta di un pedante trattato sui media - precisa l'autore - È un libro carogna, sornione e beffardo. Mette in scena una quantità di personaggi, tutti attori di una recita alla quale ho partecipato anch'io: l'informazione stampata e televisiva, di volta in volta commedia o tragedia»  Fazio è fazioso? E Saviano sarà savio, ossia tanto saggio da non cascare nella trappola della faziosità politica? Può sembrare soltanto un banale gioco di parole. Ma fu quello che mi chiesi nell'ottobre 2010, quando venne annunciato da Rai 3 un programma del tutto nuovo. Si chiamava Vieni via con me, una bella insegna suggerita da una canzone di Paolo Conte. Avrebbe avuto due conduttori: Fabio Fazio e Roberto Saviano. E si proponeva di raccontare in quattro puntate il rebus impazzito dell'Italia. Di Fazio e dell'uso che faceva della tv conoscevamo già tutto. E tra un momento lo ricorderò. Invece di Saviano come televisionista nessuno sapeva niente. Per questo mi posi una domanda: si poteva aver scritto un libro fortunato e coraggioso sulla mafia campana come Gomorra e, al tempo stesso, essere ingenui? Certo che era possibile. Lo dimostrava Saviano nell'accettare l'invito di Fabio Fazio e del suo spin doctor, Michele Serra, quest'ultimo autore del talk show fazista Che tempo che fa. Mi sembravano tre tipi umani molto diversi fra loro. Due professionisti astuti e un candido novizio. Che cosa poteva uscire dal loro incontro? Esistevano soltanto due possibilità: la solita minestra rossa contro il Cavaliere oppure un programma bum bum, destinato a fare molto rumore e tantissimi ascolti. Saviano e Fazio resero noto il loro manifesto politico-culturale in un lungo servizio di «Sette», il magazine del «Corrierone». Rivelando una quantità di ottimi propositi, raccolti da Cazzullo, che in quel caso smentì la propria fama di intervistatore mai conciliante. Dall'insieme mi parve di aver compreso che Saviano avesse due obiettivi. Il primo era dire la verità. Il secondo «parlare a tutti: alla sinistra come alla destra, ai meridionali come alla base leghista». Ricordiamoci di questo accenno alla Lega di Umberto Bossi, perché sarà all'origine di un putiferio mai visto in Rai. Non dubitavo che, nella sua prima avventura televisiva, l'autore di Gomorra volesse mostrarsi ecumenico e imparziale. Ma se era così, aveva sbagliato partner. Anzi, per dirla con schiettezza, era stato tanto sprovveduto da mettersi nelle mani di due signori che erano sempre stati tutto tranne che imparziali. Per questo pensai che Saviano avrebbe potuto incontrare la sorte di Pinocchio alle prese con il Gatto e la Volpe. Di Serra sapevo quanto mi serviva. Lui non aveva mai voluto mostrarsi al di sopra delle parti. (...) Molto più interessante di Serra, risultava il personaggio di Fazio, la cui presa di posizione a vantaggio della sinistra era scoperta, scopertissima. Nonostante questo, amava interpretare il ruolo opposto al televisionista settario. Era quello dell'abatino estraneo a qualsiasi parrocchia, amico di tutti e nemico di nessuno. Con l'aria dimessa, l'espressione sempre stupita, il vestito strafugnato del ragazzo di provincia capitato per caso in un posto e in una funzione che non ritiene di meritare. In realtà, nella Rai odierna frantumata in sultanati, Fazio era il più sultano di tutti. Un signore gelido, capace di muoversi senza guardare in faccia a nessuno, curatore attento dei propri comodi. E all'occorrenza anche cattivo. Con la manina avvolta nella flanella grigia e lo stiletto avvelenato ben nascosto. Era con questa lama che Fazio, nel suo programma abituale, Che tempo che fa, praticava una censura inflessibile. Truccata da libertà di scelta, quella che spetta a tutti i conduttori di talk show. In realtà, il pallido Fabio non sceglieva, ma discriminava. Gestendo in modo autoritario il potere di promuovere libri e autori. Un regime accettabile in una tv privata, però non alla Rai. Che è pur sempre pagata dal canone sborsato dai «tutti» ai quali Saviano voleva parlare...  

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