di LIDIA LOMBARDI Fatti poco divulgati degli italiani nella seconda guerra mondiale si sono svolti a Kos, l'isola greca che guarda la Turchia e che è ancora oggi, fuori stagione però, un Eden.
Quivennero braccati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943. L'isola si trasformò in una prigione, gli ufficiali uccisi, i soldati deportati in Germania. Chi ci riusciva tentava la fuga tra i monti boscosi della piccola terra del Dodecanneso. Oppure azzardava su una barca la traversata del mare, verso est, la costa della Siria, l'approdo ad Aleppo. Uomini impauriti, senza certezze, delusi dalla Storia. Altri opportunisti, capaci di salvarsi denunciando i commilitoni. Facce segnate dalla solitudine, dall'abbandono, dalla precarietà di una vita alla macchia. Consolati appena dalla solitarietà della gente del posto. Un po' di caldo, un po' di cibo, un po' d'amicizia. Anche d'amore, qualche notte d'amore. Un passato in apnea, che non si racconta nei manuali, che resta nel fondo dei ricordi di chi ha vissuto lo sbando. Un passato che si trova all'improvviso addosso il protagonista del bel romanzo di Diego Zandel, autore abituato a fare i conti con gli anni più incerti del Novecento, non foss'altro che per le sue origini istriane e l'infanzia passata nel campo profughi di Servigliano, nelle Marche. Errico, il protagonista di questo «Il fratello greco» (Hacca Ed., 238 pagine, 14 euro) è figlio di un anarchico, Achille, che subito dopo la guerra aveva sposato una donna di Fiume. Aveva patito l'inferno di Kos, Achille. Ma di quell'inferno Errico non ha mai saputo più di tanto. Decide di scavare il passato del padre nel momento più problematico della propria vita. Quando, a 54 anni, l'azienda dove fa il pubblicitario lo prepensiona. Si ritrova senza scopo e con una famiglia attorno - la moglie sbiadita nel suo amore, la figlia ormai fuori casa - che si sente un po' estranea. Allora il viaggio a Kos, sulle orme del padre soldato sconfitto, gli sembra il modo giusto per guardare anche dentro se stesso. Sarà così e molto di più. Zafira, la donna che aveva dato ricovero al padre, in un ovile in cima alla montagna, è ora una vecchia che porta un segreto. Ha un unico figlio, un pastore, e quel figlio non è lo stesso sangue del marito malato che Zafira accudisce nell'agonia. È figlio di Achille. Un dono del soldato italiano alla ragazza bruna e scalza sposata a un uomo sterile. Ecco la svolta, l'alter ego, il fratello sconosciuto, il doppio di Errico. Lui occidentale, metropolitano, consumista, disilluso. Quell'altro semplice, chiuso, abituato a ritmi ancora arcaici e a guardare un mare che sa d'Oriente. Il fratello greco si chiama Stergo. Prima tanto ostile allo straniero venuto dall'Italia - e dal quale il presunto padre morendo lo ha messo in guardia - da sferrargli una coltellata al collo. Poi, quando sa la verità, confuso, pian piano solidale, infine grato ad Errico come un bimbo. Il protagonista conosce anche l'amore, nei mesi che lo inchiodano a Kos. Una donna sinuosa e dolce, che gli fa sentire i sapori, i miti, i riti di un mondo meno complicato del nostro. Errico cresce nella consapevolezza della Storia, ripercorre gli episodi della seconda guerra mondiale, conosce col passato la propria identità. Un percorso lento che lo riconcilia con la vita nella sua famiglia, con i legami che si erano sfilacciati. Zandel svaria lieve dal documentato affondo nelle vicende della guerra ai sentimenti che intasano il cuore dei personaggi, alla «fotografia» di un paesaggio reale e simbolico insieme. Regala anche ai lettori un'illusione. Che si possa, fermandosi, ritrovare «il filo chiaro che emerge dal buio della coscienza».