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E finì nel sangue il j'accuse di Terry-Marlon

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Nel1955 vinse otto Oscar, anche quello per la sceneggiatura. Firmata da Budd Schulberg, autore del romanzo originale. Ambientato sui moli di New York, posto senza tetto né legge dominato dalla mafia sindacale. Ora Sellerio lo ripubblica, operazione interessante per molti motivi. Cominciamo dal raffronto con il film. Nelle pagine c'è più retorica e amarezza. Infatti la storia scritta di Terry Malloy, uno scaricatore in bilico nel sistema di malaffare dei sindacalisti - ricatti agli armatori agitando minacce di sciopero, usura, corruzione dei politici - finisce con il suo assassinio. Insomma, al contrario dell'happy end della pellicola, è senza luce la sua ricerca di riscatto attraverso la denuncia della feccia ingrassata sulle banchine dell'Hudson. E però, la presa di coscienza avviene per amore di Katie, ragazza troppo pulita per quel milieu. E perché un prete irlandese - immigrato come gli ultimi dei portuali, gli italiani e i neri - diventa un capopopolo contro gli sfruttatori. E qui Schulberg squarcia la dottrina sociale della Chiesa che negli States anni '50 poteva avere più forza, a confronto com'era col rigorismo protestante. Nel romanzo vanno lette in filigrana, nota Goffredo Fofi nell'introduzione, le biografie di Schulberg e Kazan. Entrambi comunisti e poi testimoni d'accusa davanti alla commissione McCarthy. Certo, Hollywood non è l'inferno del porto. Però leggere il romanzo è capire com'erano gli States, il Capitalismo, l'Occidente. E cosa accade oggi.

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