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Aprire la mente.

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Unrapporto che deve essere scevro da pregiudizi, perché il dibattito, lo wadal (come si dice in arabo) è il primo antidoto contro i conflitti. Il dialogo tra le religioni può riguardare solo la cultura o deve essere esteso anche alla religione? Deve essere sia multireligioso che multiculturale. Non si può separare la religione dalla cultura, specialmente nell'Islam. Nell'Islam, c'è chi è musulmano e chi è islamico, non necessariamente le due cose coincidono. Islamico riguarda la cultura, la civilizzazione: ci sono cristiani, buddhisti, ebrei che sono parte della civilizzazione islamica. Mentre, quando si dice musulmano, si parla della religione, distinta dalla cultura. Ci sono musulmani che sono nati in Occidente, e non sono per niente toccati dalla civilizzazione islamica. Sono musulmani, ma il loro mondo non è islamico. È per questo che il dialogo è sia interculturale che interreligioso: se non comprendiamo la religione, non possiamo comprendere la cultura. Perché conoscere l'altro oggi? Ogni tentativo di comprendere l'altro è di beneficio per tutti. La paura per l'altro, che venga dai musulmani o dai cristiani, in genere viene proprio dall'ignoranza. Una volta che sai chi è l'altro, non ne sei più spaventato. E dunque non c'è più il rischio che diventi fanatico. Il fanatismo è una conseguenza dell'ignoranza. Il nuovo nome della pace si chiama sviluppo", diceva Paolo VI nell'enciclica Populorum Progressio. È d'accordo? Sono d'accordo al cento per cento: la conoscenza viene prima, e subito dopo viene lo sviluppo. Non lo sviluppo per un breve periodo: sviluppo sostenibile, con l'educazione e la formazione per dare opportunità alle persone. A. G.

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