Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di LIDIA LOMBARDI «Povero, vecchio bastardo».

default_image

  • a
  • a
  • a

Treparole davanti a una bara circondata da pochi, nel piccolo cimitero di Rockville, Maryland. Quel Sud cattolico dove il romanziere più glamour degli States era nato. Che aveva dimenticato, forse, in una vita costruita al contrario. Che però gli era rimasto nell'angolo buio del cuore. Era il 1940, Scott era morto per infarto. Aveva 44 anni, era alcolizzato e senza soldi. E solo, dopo una vita che aveva deciso di passare sotto i riflettori. Negli States - gli States spregiudicati e cinici che aveva fotografato negli anni Venti, l'Età del Jazz - era un nome ai margini, ridotto a sbarcare il lunario firmando sceneggiature e racconti per i giornali. Fitzgerald aveva sbriciolato la sua vita come pastafrolla. Tenera, dolce, tutta da assaporare. Eppure terribilmente fragile. Pare impossibile adesso, perché le sue storie - «Il grande Gatsby», «Tenera è la notte», soprattutto - sono di culto. Rilanciate dal cinema e da quell'aura patinata che si va a cercare quando la Storia affonda. Il terzo millennio, artigliato dall'11 settembre delle Twin Towers, ha tanta nostalgia degli States vincenti degli anni Venti, rampanti quanto lo furono i Sessanta dei Kennedy. Così ora che sono scaduti i diritti, le case editrici (Newton Compton, Marsilio, Minimun Fax) puntano ancora più convinte sul narratore che si vende a occhi chiusi. La sfilza delle nuove traduzioni sarà in libreria a gennaio, dopo l'assaggio di Avanzini con «Belli e dannati». Così rileggeremo «Il grande Gatsby», «Tenera è la notte» e i «Racconti dell'età del jazz», da uno dei quali è stato tratto il film «Lo strano caso di Benjamin Button». C'è da chiedersi perché Fitzgerald non ebbe lunga fortuna tra i contemporanei. Probabilmente perché intercettò solo un segmento di pubblico, e in un preciso periodo. «Belli e dannati», del 1922, parla del tipo di vita - le feste, il lusso, la bellezza, i ritmi ubriacanti della musica - che Fitzgeral faceva con la moglie Zelda, arrivista e abbagliata dalla ricchezza. E disegna il milieu della rampante gioventù americana. Ma «Il grande Gatsby» (prima pubblicazione a Parigi, in quell'Europa dove la coppia visse per cinque anni) fu tutt'altro che un best seller. E meno ancora «Tenera la notte», del 1934. Oltreoceano c'era stata Wall Street, s'agitavano bandiere comuniste e furori protestanti. Lo sperpero, la sregolatezza che trasudavano dalle storie del biondo Scott parevano out, se non disdicevoli. Non si coglieva, dietro la scrittura raffinata, il distacco di quell'autore diventato protestante anche per appiattirsi di più sulla moglie, ma rimasto sostanzialmente cattolico. Fu questo e la schizofrenia di Zelda - più volte ricoverata - a gettare nel baratro quell'elegante signore formato a Princetown e poi abituato ai riflettori, alla bella casa di Long Island, alle cene parigine con Hemingway. Ma che di sé diceva: «Sono un fallito».

Dai blog