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Risorgimento di sangue

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diCARMINE MASTROIANNI Nel 1861 si realizzava l'unità d'Italia, un processo lungo e faticoso che avrebbe visto l'annessione di Roma un decennio più tardi e quella di Trento e Trieste solamente dopo l'ecatombe della Prima guerra mondiale. Ma qualcosa non era andata per il verso giusto. A 150 anni da quell'evento, che il Paese si prepara a festeggiare pur in venti di crisi politica ed economica non certamente ben auguranti, Giordano Bruno Guerri ne «Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio» (Mondadori) ha il coraggio di sganciarsi dal coro dei saggisti patriottici e parolai e denunziare apertamente ciò che la retorica del Risorgimento ha sempre taciuto. Perché il sangue, perché un'antistoria del Risorgimento? «Oggi, in un così acceso clima di spinte federaliste o addirittura separatiste, al Nord come al Sud, il Risorgimento non può più essere letto attraverso le parole del Maestro Perboni, della Maestrina dalla Penna Rossa o di Derossi, di deamicisiana memoria, bensì occorre una revisione storica aggiornata secondo i dati oggettivi delle fonti». E cosa dicono questi dati oggettivi? «Vorrei precisare una cosa: il Risorgimento non ha subìto una lettura revisionistica né durante il fascismo né dopo; la mia intenzione non è quella di demitizzarlo quanto, piuttosto, di rileggere l'annessione del Sud per ciò che essa fu davvero: un atto di conquista, una colonizzazione, una vera e propria guerra civile, la prima guerra civile italiana che fece più morti di quanti ne avevano fatti le Guerre d'Indipendenza». Ecco allora il sangue del Sud… «Tanto. È impressionante come ancora oggi, per esempio, ci siano strade e piazze d'Italia dedicate al generale Enrico Cialdini che si macchiò di così gravi delitti ai danni delle popolazioni meridionali - basti ricordare i genocidi perpetrati a Casalduni e Pontelandolfo - che oggi sarebbe finito al Tribunale dell'Aja accusato di crimini contro l'umanità». Se il Sud è stato così violentato dai piemontesi e non solo, come mai ci ritroviamo una Lega Nord dal piglio accesamente secessionista e non una lega del Sud che a ben vedere sarebbe stata assai più naturale? «Al popolo settentrionale non è mai interessata l'annessione con il Sud. Il Risorgimento è stato un fenomeno voluto da élites intellettuali da una parte e da accordi internazionali dall'altra. Inizialmente l'unità avrebbe dovuto riguardare solamente il Piemonte e il Lombardo-Veneto e non il regno degli "africani meridionali". Non a caso Massimo D'Azeglio aveva scritto inorridito:"La fusione coi Napolitani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso". Ai "conquistatori" l'errore di quella annessione fu subito evidente e cercarono di rimediarvi usando il Meridione come una colonia da sfruttare: i Borbone avevano lascito una riserva aurea pari a 445,2 milioni, mentre il Piemonte e la Lombardia ne assommavano appena 35 milioni». Che fine fece quell'oro? «Finì a Torino che lo usò per pagare le spese di guerra e i tanti debiti che il nuovo stato si trovava sulle spalle, una palla al piede che ancora oggi strozza il Paese. Qualcosa andò anche al Sud, ma la classe politica locale non seppe farne buon uso, così come poi è sempre avvenuto durante tutti questi 150 anni!» E il brigantaggio? «Esso fu la naturale reazione dei popoli meridionali all'occupazione "nordista", alla ottusa politica di piemontizzazione promossa dai Savoia. I "conquistatori" non ebbero un progetto culturale per il Sud, si presentarono come dei civilizzatori, ma in sciabole e baionette». Cosa abbiamo ereditato da quel pastiche del 1861? «Vede, non dobbiamo dimenticare che in 150 anni dei progressi li abbiamo pur fatti. Siamo oggi un grande Paese e una potenza mondiale e non credo che staremmo meglio senza l'unità. Certamente il trionfo dei localismi e degli egoismi locali a scapito del bene collettivo è una eredità fatale per l'Italia moderna. Il brigantaggio stesso, affogato nel sangue dai Savoia, sopravvive nella criminalità organizzata che è penetrata in tutto il sistema paese. Questi sono i problemi sui quali la politica dovrebbe non solo interrogarsi, ma intervenire per ripianare quelle disparità che i Padri unitari non furono in grado di evitare».

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