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Bevilacqua, l'eretico che piaceva a Sciascia

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No,non andrà giù che la Mondadori abbia consacrato un "Meridiano" ad Alberto Bevilacqua ("Romanzi", con un saggio introduttivo di Alberto Bertoni, cronologia a cura di Antonio Franchini, pgg. CXX-1677, euro 55). C'è da scommetterci: fronti corrugate, nasi arricciati, fieri cipigli. Insomma, uno scenario da "gran disdegno". E perché mai? Forse Bevilacqua è un berlusconiano? A dire il vero, non risulta. Risulta invece che è sempre stato democratico e antifascista, e, anche se non ha fatto la Resistenza, il suo "immaginario" abita da quelle parti. E quando può ci torna. Però non è uno scolaretto della "vulgata". Come dimostra "La polvere sull'erba", una narrazione polifonica apparsa per la prima volta nel 1955 e che lasciò Leonardo Sciascia ammirato e perplesso. Quanti avrebbero accettato il piglio anticonformista e antiretorico di quel ventenne che parlava di partigiani e repubblichini senza nulla nascondere di uno scenario carico di reciproci furori? Un irregolare, dunque, il nostro Bevilacqua. Un libertario. Per nulla incline ad intrupparsi. Lontano anni luce dallo schematismo marxista, dal moralismo settario, dai rigori giacobini, dalle didascalie progressiste, dai vezzi radical-chic. Uno che ha sempre creduto che nei romanzi vada rappresentata la vita. E che essa non debba essere spiegata dai maestrini del pensiero, ma che si spieghi da sé, attraverso la forza dei sentimenti, delle emozioni, delle passioni. E ovviamente anche delle contraddizioni che poi sono il sale di opere e giorni. Insieme al mistero che è un'altra cifra cara a Bevilacqua, un'altra chiave di accesso al suo mondo. Il mistero è il cuore umano- soprattutto femminile- dove scavi e scavi, e ti accorgi che dovresti andare sempre più in profondità per capirci qualcosa e quando credi di averlo fatto, ecco che devi rimettere tutto in gioco. In questa cerca, proprio perché piena di sorprese e in fondo priva di approdi, Bevilacqua si cimenta da sempre. Inventando personaggi di cui un po' si innamora. Cosa che capita anche al lettore, quando incontra Irene Corsini, la bellissima "Califfa" che quello che ha nel cuore lo porta stampato in faccia e non può né vuole nasconderlo. Ma è solo una donna, un "concreto" personaggio letterario, la Califfa? Certo, Irene, con quel soprannome sventolato come una bandiera, è prima di tutto la vedova di un operaio ucciso durante uno scontro con le forze dell'ordine ed è la fiera popolana che diventa l'appassionata amante del suo "nemico di classe", il potente industriale Annibale Doberdò, dopo avere scoperto che è "un uomo", con un cuore e un carattere; ed è anche il suggestivo emblema di una femminilità che coinvolge, travolge e trasforma, perché, grazie a questo viluppo di sensi e sentimenti, Doberdò ritrova la "vita" e le sue "ragioni". Ma la Califfa (nel 1970 Bevilacqua tradusse il suo romanzo in film e volle che a rivestire i panni di Irene Corsini fosse una smagliante Romy Schneider, mentre Ugo Tognazzi dimostrò la sua straordinaria versatilità interpretando il personaggio di Doberdò) ha un ulteriore tratto, emblematico e carnale al tempo stesso. Perché la Califfa, così affascinante e spregiudicata, "è" Parma, con tutte le sue insegne di capitale nobile e di città ricca di umori sanguigni e carnali: cibo, sesso, passione politica. Senza dimenticare la dimensione epica, che è una cifra costante in Bevilacqua: una magica linfa tessuta di memorie ancestrali, di estro e di follìa che percorre Parma, e la rende " una città in amore". Come recita il titolo di un altro romanzo, che potrebbe valere anche da rapido contrassegno della poetica di Bevilacqua, a indicare un intreccio di emozioni "corali" dove ciascuno ha la sua parte e il suo destino, ma entro una trama di complicità che prevede anche il conflitto, per arcana legittimazione.

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