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Quando il presentatore Eddie Ponti sali sul palco del teatro Brancaccio di Roma quel venerdì 24 maggio 1968, Jimi Hendrix era conosciuto solo ad un ristretto numero di appassionati.

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Isuoi dischi passavano raramente in radio, tv neanche a parlarne, in compenso alcuni giornali giovanili gli avevano dedicato alcune copertine, trattandolo più che altro come "mostro", non solo di bravura. Celebre la copertina con il titolo: "Lascereste uscire vostra sorella con questo individuo?". Ma gli appassionati che riempirono il teatro romano per i due concerti di quel venerdì e del giorno dopo non si si pentirono. Lo spettacolo era stato organizzato da Massimo Bernardi, boss del "Titan", l'unico locale in grado di impensierire il "Piper" e il tam tam psichedelico degli appassionati fece più di un'affissione puntiforme o di un battage pubblicitario tradizionale. Lo show venne aperto da due buone formazioni nostrane di rhythm and blues, la Doctor K's Blues Band e quella di Pier Franco Colonna (all'interno della quale militava il sassofonista Michele Bovi, attuale capostruttura di Raiuno) e dopo un intervento coreografico di Franco Estil e i suoi ballerini, comparve sul palco Jimi con i suoi incredibili capelli afro. Un gigantesco solenoide afro-americano praticamente identico a quello degli altri due membri dell'Experience, il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell. Tre musicisti con i fiocchi, in grado di scatenare una potenza sonora mai vista. Nessuno di noi aveva mai visto quelle montagne di amplificatori torreggiare sul palco. Al punto che appena Hendrix attaccò saltò tutto l'impianto elettrico del Brancaccio per il troppo assorbimento. Nervosismo, impazienza del pubblico, Hendrix che minacciava di abbandonare la pedana. Una bolgia infernale. Fu Eddie Ponti a suggerire di spegnere tutte le luci del teatro, comprese quelle dei bagni, riservando tutto il carico possibile all'impianto, anche se, malgrado le proteste dei musicisti, un amplificatore venne escluso. Fu un concerto straordinario, emotivamente inarrivabile, con Jimi Hendrix che si qualificò come il Picasso della chitarra, ma anche come notevole cantante e trascinante front-man. Quelli delle prime file erano lì anche per vedere se suonasse veramente con i denti, come sosteneva il suo ufficio stampa. Sì, certo, Jimi suonò "anche" con i denti, aiutandosi però con le mani. Come se la cosa fosse importante. T-Bone Walker, uno dei suoi maestri, suonava con i denti (facendo anche la spaccata) quarant'anni prima di lui. Sul palco era fascinosissimo. Con quel suo broccato policromo, chiuse di fatto l'era del flower-power e aprì quella psichedelica, lisergica, che purtroppo gli fu fatale. Ad un certo punto se la prese con la sua chitarra. Si era scordata o forse erano saltate le corde, fatto sta che dopo averla sbattuta a terra la prese anche a calci. C'erano dei gruppi, anche molto validi, per esempio gli Who - che avevano suonato a Roma un anno prima - che lo facevano abitualmente, teatralmente. Jimi no. Aveva perso la testa veramente. Quando rientrò in camerino notò che Ponti guardava malinconico ciò che rimaneva di quello stupendo strumento, si intenerì e decise di regalargliela. In barba alle brame degli appassionati e alle offerte dei collezionisti, quella chitarra fece bella mostra a casa di Eddie per tutta la vita. Dopo il concerto pomeridiano e quello serale, Jimi non era ancora sazio di musica. Gli organizzatori lo portarono al "Titan" dove si lanciò in una interminabile jam-session, mettendosi al basso, peraltro con le corde regolamentari, complicate per un mancino come lui. Stesso discorso il giorno dopo. Dopo i due concerti al Brancaccio fu Alberto Marozzi, uno dei pochi motorizzati fra noi, a caricarlo sulla sua 500 per portarlo di nuovo al Titan. Hendrix, da immenso musicista, si divertiva e aveva piacere ad improvvisare con i musicisti italiani, anche se con i suoi capelli non entrava in una macchina così piccola. La seconda sera la jam scattò con i musicisti romani, con i Pholks e con lo stesso Marozzi alla batteria, il quale, con le bacchette tremebonde, suonò "Hey Joe", "Foxy Lady" e altri classici hendrixiani, che fortunatamente aveva ascoltato mille volte. Ecco, è difficile ricordare un musicista così geniale e così disponibile, umile, disposto ad ogni apertura e ad ogni forma di curiosità. Diciamo pure che le jam session post concerto sono totalmente scomparse dalla scena rock. Il pensiero corre ancora ad Albertino Marozzi, che volendo ringraziare il suo idolo si sentì rispondere: «Be groovy out of site», come dire «sii favoloso, fuori dal comune». Altri tempi, decisamente.

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