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Lorenzo Tozzi Negli anni, ormai fortunatamente lontani, della guerra fredda era l'orchestra più famosa dell'Unione sovietica ed una delle più note al mondo.

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Èla Filarmonica di Pietroburgo (allora di Leningrado) che fu invece fondata nel lontano 1882 nientemeno che come orchestra di corte dallo Zar Alessandro III. Come dire che quando si tratta di grande musica i gusti imperiali e quelli dei soviet apparentemente non facevano molta differenza. Nei giorni scorsi la leggendaria orchestra è giunta a Roma «a miracol mostrare» sotto la guida del suo (dal 1988) direttore musicale, Yuri Temirkanov, successore del grande Mravinski. Quasi d'obbligo che tutto il programma fosse russo doc, dal popolare e granitico Secondo Concerto di Rachmaninov (al pianoforte il giovane Roustem Saitkoulov) e soprattutto la Sinfonia Patetica di Ciaikovsky. Una partitura letta nel suo valore autobiografico di struggente confessione ( una sorta di consapevole Requiem a se stesso), traboccante di passione ma senza enfasi né retorica. Note ed accordi sono talora quasi centellinati, costante la cura e pienezza del suono anche negli appena percettibili pianissimo. Se ogni orchestra possiede un suo «sound», questa (violoncelli al centro, contrabbassi a sinistra) mira a dare spazialità al suono, conferendo spessore ed amalgama alle diverse famiglie strumentali. Il grande direttore russo tornerà al Parco della musica in aprile, ma sul podio dell'Orchestra ceciliana, con il Requiem di Mozart (dal 18), e con la Quinta sinfonia e il Concerto per violino di Ciaikovsky (dal 24), solista d'eccellenza Gidon Kremer.

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