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«Usiamo linguaggi nuovi come San Paolo con l'esempio e il rigore di San Tommaso»

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Essererigorosi come San Tommaso, e utilizzare i linguaggi nuovi come San Paolo: monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, utilizza queste due metafore per delineare quali sono le sfide che si pone la cultura in generale, e quella ispirata dal cattolicesimo in particolare. Di nuovi linguaggi se ne parlerà in una pleanaria del Pontificio Consiglio della Cultura a novembre, relatore anche il regista tedesco Wim Wenders. D'altronde Ravasi, pubblicista e saggista di fama, ritiene che la sfida della cultura ispirata dal cattolicesimo si ponga su tre "settori incandescenti": fede e scienza, fede ed arte (è stato lui a organizzare l'incontro del Papa con gli artisti) e poi il rinnovo dei linguaggi, perché «forse tante volte noi cattolici non incidiamo perché non abbiamo capacità di confrontarci con un linguaggio nuovo. Che forse ci costringe a ridimensionare i contenuti, ma che è necessario per poterli veicolare: pensiamo all'operazione che fa Paolo». Monsignor Ravasi riceverà oggi ad Aquino il Premio Internazionale Tommaso d'Aquino, istituito dal Circolo San Tommaso e quest'anno alla prima edizione e dedicato a chi, nell'ambito della cultura, ha dato un contributo ad attualizzare il pensiero del Padre della Chiesa. Cosa ha ancora da dare Tommaso d'Aquino oggi? «In primis, la forza della ragione, una delle grandi basi da cui partire nella ricerca per poter accedere nella conoscenza piena della realtà, e il rigore nel suo uso. Ai nostri giorni, proprio il rigore nell'uso della ragione è piuttosto carente. Molto spesso ci si accontenta dell'approssimazione, del luogo comune, delle reazioni di pancia, non sottoposte al vaglio della ragione». È una carenza presente anche nel mondo dell'informazione, che magari rappresenta la Chiesa in maniera diversa da quello che realmente è? «Prima di tutto, si deve riconoscere un problema all'origine, che è quello del linguaggio. C'è la necessità di una capacità di comunicazione rigorosa, ma anche flessibile, adatta - per esempio - al nuovo linguaggio informatico, o anche ad altri tipi di media. Si tratta di comunicazioni molto più essenziali, anche semplificatorie, ma di cui la comunicazione deve tenere conto. Proprio per questo farò una plenaria del dicastero della cultura a novembre, con il direttore generale della tv di Stato francese, ma anche il regista tedesco Wim Wenders, per parlare di queste modalità diverse di linguaggio». E in che modo la cultura ispirata dal cattolicesimo può dare un contributo all'informazione? «Bisogna avere il coraggio di parlare non solo delle questioni fondamentali penultime (impegno sociale, dimensioni caritative, la dignità della persona nel contesto sociale attuale), ma anche di presentare le domande ultime: la vita, la morte, l'oltrevita, il dolore, il senso del male, l'amore nella sua forma autentica, il bene e il male, la verità, e il tema di Dio. Per questo stiamo costituendo una sorta di istituzione interna a questo consiglio, il Cortile dei Gentili, per il confronto con il mondo dell'ateismo, ma anche quello delle differenze religiose, o del mondo che esclude la trascendenza ma ha una sua etica». Di cosa si tratta? «Sarà un dipartimento all'interno del Pontificio Consiglio, con un responsabile e dei collaboratori, che si porrà degli obiettivi. Prima di tutto stabilire una rete con personalità agnostiche o atee; poi studiare il tema dell'etica e della spiritualità senza Dio; aiutare la cultura laica ad uscire da una concezione povera e semplificata della fede; sviluppare una riflessione sulla dimensione spirituale dell'uomo, sulla complessità della conoscenza della realtà umana; proporre almeno ogni anno un grande incontro (il primo a Parigi) che permette di riflettere sul tema molto preciso; cercare di trovare elementi già comuni, come il dialogo, la pace e la giustizia, e anche e soprattutto lottare contro ogni forma di integralismo reciproco; superare sia l'atteggiamento fondamentalistico della religioni, sia quello che ha espressione nelle forme popolari di ateismo ironico e sbeffeggiante alla Odifreddi. Sarà un modello da esportare anche per le grandi diocesi, una sorta di progetto pastorale». Confrontarsi mantenendo le proprie identità è proprio l'insegnamento di Tommaso d'Aquino. «Tommaso d'Aquino parte con l'idea che esiste una base naturale che non viene cancellata: tutti hanno un'umanità di fondo, un'anima. Io da un lato devo conservare la mia identità, perché se imito l'altro o ne accetto solo quello che ha in comune con me, non ho ancora la possibilità di un dialogo molto fecondo e ricco, Il passo ulteriore è quindi l'affermazione della mia identità. Cosa è successo, ad esempio, nel rapporto con l'Islam? L'Islam è arrivato con una forte identità, mentre l'Europa si è ormai scolarita, è simile a una mucillagine. E così il secondo livello del dialogo autentico non avviene: o si va allo scontro o si cerca di evitare qualsiasi contatto con l'altro».

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