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Dolce vita scomunicata

La Dolce Vita di Federico Fellini

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In questi giorni in cui si celebrano i cinquant'anni de "La dolce vita", qualcuno ha ricordato l'ingiusto, sgradevole insuccesso cui andò incontro la sua anteprima a Milano, presenti Fellini e Giulietta Masina sbigottiti, a fianco del produttore del film, il milanesissimo Angelo Rizzoli, addirittura furioso. Anche più furioso qualche giorno dopo, quando, in cima alla stroncatura del film su "L'Osservatore Romano" lesse come titolo "Schifosa vita" e, peggio ancora, in alcune interpellanze parlamentari delle destre apprese con raccapriccio di aver prodotto "una banale canzonatura dell'alta missione di Roma quale centro del cattolicesimo e di antiche civiltà" e di essere stato responsabile di una "palese offesa alla virtù e alle probità della popolazione romana".   Fellini, dal canto suo, che sentiva invece già montargli attorno quei successi che, sempre più caldi ed entusiastici, non avrebbe tardato ad ottenere, non si rassegnò tanto facilmente ed ebbe l'idea, visto che tutto era cominciato da Milano, di andare a incontrare l'Arcivescovo che, nel Sessanta, era Mons. Montini, il futuro Paolo VI. Come intermediario scelse un intelligente Gesuita, il Padre Angelo Arpa, di cui era diventato amico pur non avendo, lui romagnolo, la stessa dimestichezza con preti e frati che aveva invece Rossellini. Padre Arpa operava a Genova, godeva di una tale fiducia da parte del suo Arcivescovo, il Cardinale Siri, che qualcuno lo aveva maliziosamente soprannominato "l'arpa ... siriana" e fin dai tempi dei "Vitelloni" e del "Bidone", si era sempre decisamente schierato a favore di Fellini, più d'una volta, anche in quegli anni, contrastato da questo o da quello. Ricevo una telefonata imbarazzata: "Federico vuole incontrare mons. Montini, per "La dolce vita". Non vorrei che andasse male. A Milano, in Curia, molti sono contrari. Gli ho proposto Siri, ma lui è a Milano che si è sentito offeso e vorrebbe spiegarsi lì". Subito dopo una telefonata di Fellini: "Vado a Milano da Montini. Vieni anche tu. Visto che il film ti è piaciuto, mi sosterrai." Una pia illusione. Eccoci, Padre Arpa ed io a Milano, all'Arcivescovado, a fianco di Fellini. Solo lui, però, potè essere ammesso alla presenza di Montini. Noi due fummo lasciati fuori, senza dover troppo attendere tuttavia perché di lì a un quarto d'ora si aprì una porta e sentimmo Montini che diceva a Fellini "Stia bene" e lui rispondere un "buon giorno" con disagio. Dopo in strada, mentre ci avviavamo verso Piazza Duomo non osammo chiedere nulla. Bastava quella faccia scura. Fellini capì quella nostra curiosità tacita che era solo partecipazione, così si limitò a dirci: "Ha parlato solo lui, illustrandomi le sue ragioni. Le mie non mi ha dato tempo di esprimerle e si è alzato".   Poi, anche in seguito, più niente. Silenzio totale. Comunque la gloria, in tutto il mondo, l'avrebbe presto risarcito. Chi ci lasciò le penne, invece, fu un altro Gesuita, il Padre Nazzareno Taddei, che sarebbe diventato un geniale esperto di cinema, tanto che, dopo la sua morte, ho concorso a dedicargli un Premio che si assegna tuttora ai film che concorrono alla Mostra di Venezia. Padre Taddei scriveva di cinema sulla rivista "Letture" dei Gesuiti milanesi, e, preparato e capace com'era, vi pubblicò, dopo che i suoi superiori come d'uso l'avevano letta, un'ampia recensione de "La dolce vita" totalmente favorevole. Ma era a Milano dove l'Arcivescovo non era Siri. Non gli fu più possibile scrivere su "Letture" e ricevette richiami vivaci anche da parte di quei Superiori che pure l'avevano letto. Accettò tutto, "per santa obbedienza" come dicono i Gesuiti, ma la bella rivista di cinema che tuttora esce e lo ricorda, per poterla pubblicare, andò a La Spezia.  

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