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Roberta Maresci La storia di Anna Frank raccontata da un albero.

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Qualchetempo fa il suo destino ha tenuto col fiato sospeso tutta l'Europa, ma poi in extremis ne è stato bloccato il taglio. Colpa dei tarli. Chi ha letto il diario della giovane ebrea, costretta a nascondersi dal 6 luglio del '42 ad Amsterdam insieme alla famiglia, per sfuggire alla cattura dei nazisti, non può non ricordarsi di quel castagno. Anna lo ha ammirato per due anni, prima di essere spedita al campo di concentramento di Bergen-Belsen dov'è morta di tifo nel 1945. Era il marzo o l'aprile: degli otto abitanti della casa al 263 di Prinsengracht solo il padre di Anne sopravvisse. Cosa la bimba sognava, quando guardava l'albero dal piccolo lucernario della soffitta, non è dato saperlo. Forse il mare, l'odore delle alghe o le grida dei gabbiani. Questo, forse, nell'attesa che l'albero le annunciasse la primavera. Perché si sa che, vedendolo fiorire, pensava al futuro. Immaginava sentieri e strade dove correre in bicicletta naso al vento e capelli arruffati. Intanto l'ippocastano è sempre lì, ribattezzato "albero di Anna Frank”, custode di migliaia di flashback. Ma il ricordo più vivo sotto la sua corteccia è quello che di una bimba di tredici anni, che non scendeva mai in cortile a giocare. A parlare è proprio "L'albero di Anne”. Irène Cohen-Janca l'ha scelto come protagonista della storia che ne prende il titolo. Tradotta da Paolo Cesari e illustrata da Maurizio A.C. Quadrello, Orecchio Acerbo editore l'ha fatta uscire il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria. Indicato dai 9 anni in su, il racconto approfitta di ogni pretesto per raccontare di quei parassiti che stanno intaccando la memoria dell'albero. Animaletti paragonati ad altri tarli. Più pericolosi di quella piccola farfalla che ne mina le foglie, fino a metter a nudo l'albero al di là delle stagioni, già nel cuore dell'estate. Più che tarli sembrano piuttosto dei chiodi, quelli che sessant'anni fa infestarono la terra: i nazisti, bestiole di altra natura. Avevano già in mente un'idea: vietare di esistere. Tutto veniva negato a quelli che, come Anna erano ebrei. "A partire dal 1940, era vietato: avere una bicicletta; prendere l'autobus e il tram; correre prima delle 3 e dopo le 5; andare in piscina; giocare a tennis o a hockey; fare canottaggio; andare al cinema o a teatro; frequentare scuole che non fossero ebree; andare da parrucchieri che non fossero ebrei; uscire senza la stella gialla cucita sul vestito”. Ora i tarli, quelli veri, hanno intaccato il castagno, quasi a voler negare il ricordo di Anna Frank. Eppure ci sembra di rivederla dietro il lucernario della soffitta del palazzo di fronte. Curva, a scrivere fitto fitto. Come se quel gruppo di soldati - grandi elmetti e mitra in pugno – non arrivò mai al numero 263 di Prinsegracht, per portarla via.

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