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Quando ballando le stelle improvvisavano

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Lostraordinario successo di «Ballando con le stelle», giunto alla sesta edizione senza nessuna crepa, consente di fare qualche riflessione sul rapporto fra danza (comunemente definita ballo) e tv. Le Teche ci ripropongono in continuazione le grandi coreografie del passato, robusti corpi di ballo, primi ballerini e scenografie elaborate. Dai momenti indimenticabili di quella tv emergono soprattutto le elaborazioni di grandi coreografi: Hermes Pan, Gisa Geert, Don Lurio, Paul Steffen. A prepensionare tutto questo mondo fu la politica del risparmio e soprattutto la logica del «presto e male» di Gianni Boncompagni. Fu l'autore e regista aretino a sanzionare una volta per tutte che il balletto non serviva. Ballerine, ballerini, coreografi, costumi e costumiste, scenografi e scenografie con tutto l'inevitabile supporto di aiuti e addetti non portavano neanche un telespettatore in più. Anzi. Boncompagni dimostrò, ascolti minuto per minuto alla mano, che se a ballare (e per la verità anche a cantare) erano ragazze pon pon e comunque ignote, il risultato alla fine era lo stesso, qualche volta migliore. Ecco allora almeno un decennio di oscurantismo televisivo per balli e ballerine. Si poteva risparmiare nel budget - qualche volta era d'obbligo - ma non certo stoppare l'irrefrenabile voglia di ballare. Ecco allora un cambio di tendenza: voglia di tango e di charleston, un uso diverso del mantenimento del corpo rispetto alle classiche fatiche in palestra, boom di scuole di ballo in piccole e grandi città, al sud e al nord. La televisione, autentico moulinex della nostra epoca, ha colto l'attimo sfornando un programma figlio di bisogni ed esagerazioni di questi anni. Un programma ben fatto, dove si mischiano gare di bravura e reality, talent e presunte rivalità. Un programma astuto, dove si aspettano e si favoriscono gli svarioni di qualche celebrità o di qualche artista bisognoso di rilancio, ma che se non altro rimanda al concetto che i ballerini non siano una minoranza con determinate capacità. Da sempre, che si trattasse di un ballo di debuttanti o un ballo di campagna, ogni ballo era un evento unico, organizzato e ampiamente atteso, attirava non soltanto i ballerini ma anche molta gente che non aveva nessuna intenzione di scendere in pista. I parenti più anziani si incontravano fra loro e anche alcuni giovani potevano solo guardare mentre altri ballavano. Del resto, molti stili operai, dal «kazatsky» alla break dance sono più atti all'esibizione che non alla partecipazione. La forza e il successo di «Ballando con le stelle» è sicuramente nel sorriso e nella professionalità di Milly Carlucci, che a 55, con «qualche piccolo aiuto dagli amici», è più tonica e motivata che mai. Ma «Ballando con le stelle» mostra dei limiti nella verità. Il programma non cerca di riprodurre la realtà e quando supera i limiti di ciò che è fisicamente possibile diventa rivelatrice e commovente. Nella tv del passato l'idea di ballare, di far ballare ospiti celebri ma non professionisti, ha creato momenti e immagini indimenticabili. Enrico Maria Salerno che balla il tamurè (una danza centro-americana molto popolare a metà degli anni Sessanta) in una puntata di «Studio Uno» del 1965 davanti a Mina che non riesce a trattenersi dalle risate; Alberto Sordi che balla il «Tuca Tuca» (un momento di culto per i ballerini) con Raffaella Carrà nel 1971 o Arrigo Levi, fino a quel momento freddo commentatore di politica estera, che si scatena in un tango (aveva soggiornato molti anni in Argentina) non hanno nulla a che vedere con gli scivoloni di Emanuele Filiberto o con le contratture lombo-sacrali di Ron Moss. Questa è fiction, o meglio finzione, meticolosa preparazione, ore e ore di sala prove, l'altra era improvvisazione, talento che non t'aspetti, forse addirittura trasgressione. Uno spaccato che restituisce l'immagine dell'attuale spettatore tv, che vuole essere partecipe dal punto di vista interattivo ma passivo per ciò che concerne le scelte. È la logica del «ballo non solo»: non contiene nessuna novità ma è piacevole.

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