Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Visto dall?economista

default_image

  • a
  • a
  • a

Infondo, quell'episodio obbliga a ricordare che il controllo statale sulla moneta permette ogni genere di truffa ai danni della popolazione nel suo insieme. Come rileva anche Mefistofele nel "Faust" goethiano, c'è qualcosa di inebriante e intimamente diabolico nella possibilità di moltiplicare denaro attraverso la carta: quello che avverrà appunto nell'Italia di Crispi e Giolitti, grazie all'emissione in numerazione doppia di alcune decine di milioni di lire da parte dell'istituto bancario romano (uno dei sei autorizzati, a quel tempo, a emettere valuta). Ovviamente, le origini dell'intreccio tra moneta e malversazioni affondano nella notte dei tempi, anche se per secoli - quando ogni valuta era convertibile in oro - gli abusi erano più difficili. Eppure anche allora il potere di "signoraggio" (questo è il termine tecnico per indicare gli utili derivanti dal monopolio monetario) permetteva ai re, ad esempio, di modificare il peso in oro di un tallero o di uno scudo. Lo Stato traeva per sé un beneficio grazie alla differenza tra valore reale e nominale. Quando poi si è eliminato ogni riferimento ai metalli preziosi, la possibilità da parte di quanti gestiscono la politica monetaria di sottrarre ricchezza ai cittadini è cresciuta in maniera esponenziale. Oggi che un dollaro e un euro sono sganciati dall'oro e possono quindi essere prodotti (in linea teorica) senza limiti di sorta, l'emissione di moneta tende per sua natura a espandersi: la moneta in circolazione aumenta in quantità e di conseguenza diminuisce in valore. Se nell'Italia degli anni Novanta 100 lire valevano molto meno di quanto non valessero quarant'anni prima, questo si deve soprattutto al comportamento della Banca d'Italia. Non è un caso se tutto il ventesimo secolo è stato segnato da fenomeni di iperinflazione. Come quella che colpì la Germania all'inizio degli anni Venti: tanto che il primo dicembre del 1923 venne creato un nuovo marco, il Rentemark, del valore di mille miliardi dei vecchi marchi. Ma per distruggere una moneta non c'è necessariamente bisogno di moltiplicare la carta moneta, come avevano fatto i tedeschi della repubblica di Weimar per pagare i dipendenti pubblici. Basta ridurre i tassi di interesse in maniera artificiosa, come si è visto nell'America degli ultimi dieci anni. Bassi tassi di interesse producono infatti una grande quantità di prestiti (poiché il denaro è a buon mercato) e quindi lo stesso risultato di una stamperia di banconote che lavori giorno e notte. In fondo, quello della Banca Romana è stato in parte il ripetersi di vicende già conosciute, ma soprattutto l'anticipazione di una storia, la nostra, che ha visto sempre di più intrecciarsi gli interessi della politica e quelli dei gruppi più influenti che le ruotano attorno. Con gravi danni per l'economia nel suo insieme e, in qualche occasione, della stessa libertà.

Dai blog