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Virzì: così vi racconto gli italiani buoni

Una scena del nuovo film di Paolo Virzì

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Cosa vuol dire avere una mamma bellissima, vitale, un po' frivola e a volte persino imbarazzante? È questo il cruccio che accompagnerà Bruno (Valerio Mastandrea) nell'ultimo commovente film di Paolo Virzì «La prima cosa bella» da venerdì distribuito da Medusa in 400 copie. Tra flashback e ricordi, tutto inizia nell'estate 1971, quando, nella tradizionale elezione delle Miss in uno stabilimento balneare, sua mamma Anna (prima interpretata da Micaela Ramazzotti e poi nell'ultima parte da Stefania Sandrelli) viene incoronata sul palco. Da allora nella famiglia Michelucci esplode il caos. Il padre geloso se ne andrà con l'antipatica zia Leda, mentre Bruno e la sorella Valeria (Claudia Pandolfi) vivranno mille avventure fino ad un'inattesa e struggente riconciliazione densa di colpi di scena.   Virzì, questa commedia è un amarcord della sua vita? «Non è il mio amarcord livornese, il passato non è raccontato nel mio film in modo elegiaco come nelle opere felliniane. E poi c'è una famiglia violenta, una madre innocente ma sciagurata e con una grande forza eversiva. Non è una storia autobiografica, ma certo ho pescato nel mio vissuto e sono ritornato nella mia Livorno per un desiderio di ritrovare una patria che non avverto più, un desiderio di far pace con la vita in un momento in cui in questo Paese ci si sente come in esilio». Questa commedia segna una svolta nella sua carriera: è il film meno politico che lei abbia mai realizzato. «A me interessa la politica ma preferisco raccontare storie. Ora in Italia mi sento a disagio. Soprattutto quando vedo quello che è successo in Calabria, a Rosarno, dove della gente, italiana, ha sparato a immigrati africani, dimenticando che il nostro Paese si regge sulle fortune di tanti emigrati. Di fronte a fatti del genere mi sento senza patria, in esilio e sono colto dalla sfiducia, non solo verso i politici, ma anche verso i cittadini, che diventano sempre più aggressivi, nelle riunioni di condominio come davanti ai semafori».   Il suo è un omaggio alla famiglia, ma soprattutto alla donna e alle madri coraggiose? «Sì, ho sempre privilegiato le figure femminili nei miei film e per certi versi mi sono totalmente ispirato alla Sandrelli, alla sua vitalità. Tra Bruno e sua madre Anna c'è un amore folle che ricorda una poesia di Caproni, "Preghiera" in cui il poeta incita la sua anima a tornare a Livorno per rivedere sua madre. Bruno in questa storia è come se fosse il fidanzato segreto di sua madre, che ama tanto e che tanto lo ha fatto patire. L'incrollabile ottimismo di quella donna incosciente lo fa però rivivere. Sullo sfondo spicca una provincia bigotta e maliziosa, oltre all'ignavia di tanti uomini volubili che avrebbero voluto appropriarsi del candore di Anna, ma non ne hanno mai avuto la forza». Teme la sfida con «Avatar»? «Sarà una lotta impari. Ma ci sarà un'offerta multipla: un kolossal tecnologico in 3D e il mio film struggente sui sentimenti e l'umanità».  

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