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Debutti eccellenti e grandi testi Lavia mattatore con Shakespeare

Il regista Gabriele Lavia

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Un dialogo ininterrotto con il teatro e con Shakespeare alimenta la creatività di Gabriele Lavia, impegnato come attore e regista, da stasera al 13 dicembre al Quirino, in «Macbeth», mentre nelle stesse date si rappresenta all'Argentina "Molto rumore per nulla" da lui diretto come risultato di un laboratorio con giovani attori, fra cui suo figlio Lorenzo. Mai pago del proprio lavoro quanto convinto di affrontare l'esperienza più alta dell'attività umana, Lavia difende un teatro incentrato sugli interrogativi esistenziali a dispetto della ricerca di divertimento. C'è chi lamenta la produzione di troppi allestimenti shakespeariani. Non so se siano troppi o pochi. Shakespeare è il più grande autore dell'occidente. Nel giro di pochi metri tre teatri romani lo propongono e due spettacoli sono miei. E' stato un caso e, se avessi potuto evitarlo, non avrei accavallato le date anche se è piacevole che le due compagnie possano ritrovarsi a cena insieme dopo la replica. Shakespeare riflette sull'essere e sul non essere ovvero sulla domanda di tutto il pensiero occidentale da Parmenide all'ultimo filosofo del futuro. Ha trasformato la questione in azione per il palcoscenico. Le tragedie raccontano il dubbio («Amleto»), l'incertezza («Macbeth»), l'illusione («Othello») e il declino dell'essere («Re Lear»), mentre le commedie si dedicano al tema della verità nei due significati di svelamento e di barriera contro il falso. Frequentare questi capolavori fa vivere più consapevolmente? E' un sentiero non diritto. C'è chi ne ha coscienza e chi no. C'è chi preferisce il velamento. Si può anche vivere molto peggio, specie in un mondo come il nostro che si è appiattito. Le memorie possono però riemergere dal dimenticatoio: ieri ho scoperto un golf blu a collo alto che ignoravo di possedere. Forse può accadere lo stesso con l'essere Cosa consiglia ai giovani teatranti come suo figlio? Di avere il coraggio di mettersi insieme e di creare un gruppo, lavorando da soli e poi confrontandosi. Ci sono troppi vecchi come me, ma ai miei tempi era più difficile: c'erano Gassman, Albertazzi, la compagnia dei Giovani. Erano giganti, mentre ora siamo tutti nanerottoli. I ragazzi di oggi, però, sono troppo viziati dalle nostre premure. Quanto può donare il teatro alla società odierna? L'uomo non ha mai inventato di meglio. Nel mondo attuale in cui tutto è riproduzione, appare ai margini, ma è l'arte più difficile che esiste. L'attore ha come unico supporto il corpo, il nostro lavoro sopravvive solo nella memoria.

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