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«Ricky», la favola di Ozon appassiona per il ritmo poetico

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Nell'ambitodi temi ricorrenti come i rapporti familiari («8 donne e un mistero», «Sitcom»), la vita di coppia («Cinqueperdue»), il rifiuto della separazione provocata dalla morte («Sotto la sabbia»). Oggi, da un certo punto di vista, torna a guardare alla famiglia, anzi, al rapporto madre-figlio ma, dopo un avvio realistico e concreto, in cifre prossime al sociale, capovolge gli spunti, non i modi però, avvicinandosi con decisione alla favola. La mamma, infatti, che all'inizio abbiamo incontrato in una fabbrica con vari problemi sul lavoro, avendo avuto un bambino dopo una relazione con un collega, scopre all'improvviso che a questo bambino spuntano delle ali: prima secche come quelle di un pollo spennato, presto però fasciate da belle piume. Allo stupore segue lo sbalordimento perché il bambino alato comincia a volare, anche molto in alto. Le reazioni della gente e soprattutto della stampa e della televisione sono facili da immaginarsi, ma poiché, a un certo momento, la donna si vedrà offrire del denaro per esibire il figlio, quasi fosse un fenomeno da baraccone, reagisce con fermezza lasciandolo volar via dal filo cui era stato legato. Meglio perderlo piuttosto che vederlo considerato a quel modo. Sulle prime sembra che Ozon si sia dato due lingue diverse: prima la cronaca, tutta realismo minuto, poi la fantasia, anzi, la favola a pieno titolo. In realtà i due momenti del film riflettono un unico stile che, anche nei momenti in apparenza contraddittori, non accettano fratture. Tutto è sempre genuino, reale: quella famiglia, quel bambino di pochi mesi cui a poco a poco spuntano delle piccole ali, quella mamma che preferisce separarsi dal figlio piuttosto che darlo in spettacolo, per di più a pagamento. Cifre quiete, ritmi meditati e senza scosse, immagini tenute sempre su tinte quasi sfumate, un clima in cui, pur nella semplicità e tra le pieghe dell'autentico, si fa presto avanti, sicura, la poesia. Decisa e aperta anche quando si privilegia il non detto. La esprime con grazia dimessa un'attrice, Alexandra Lamy, non bella ma di una eloquente intensità.

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