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L'Italia immaginaria di Michele

Michele Placido

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C'è chi lo ricorda ancora, un ventina d'anni fa, candidato per il partito repubblicano di La Malfa al tempo del "polo laico" e di quelle cose lì. Non quindi con Democrazia Proletaria, e nemmeno tra i frequentatori parigini del professor Antonio Negri, in arte "Toni". Ma ormai Michele Placido ha deciso di vestire da rivoluzionario di professione: e così non gli è bastato girare "Il grande sogno": un film che celebra il Sessantotto come un momento magico e, ahinoi, perduto. Ormai l'obiettivo del regista di origine pugliese, da quanto è emerso dalla conferenza stampa di ieri, è di candidarsi a nuovo maître à penser. Il "morettismo", insomma, fa proseliti. Ma quanto meno il primo Nanni Moretti aveva offerto una rappresentazione tragico-comica della generazione che aveva attraversato il Movimento studentesco e ne era uscita (quasi) indenne. Con "Ecce bombo" ci si era divertiti, e in qualche modo anche con "Io sono un autarchico", perché da quelle traspariva il trombonismo dell'Italia parolaia in cui trovavano spazio "Servire il popolo" e Mario Capanna, che non a caso ieri era tra gli astanti - a Venezia - nel giorno dedicato a Placido e al suo film e ha sentenziato che il '68 non ha ucciso nessuno ed è stato una vittoria culturale. Per promuovere una propria opera se ne fanno tante: e non è il caso di fare i moralisti. Però la storia è storia: e il filo rosso che ha collegato il '68 e gli anni di piombo è un dato di fatto. Ieri invece Placido ha voluto parlare di un'Italia immaginaria, come se l'ideologizzazione di un'intera generazione fosse un'invenzione da "berlusconiani".

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