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De Gasperi, fin da giovane, si misurò con un'istanza patriottica a sfondo risorgimentale.

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Perquesto nel 1915 il governo di Vienna trovò legittimo scatenare la repressione contro i cattolici delle terre italiane dell'Impero, colpevoli di aver rifiutato di sottoscrivere l'appello alla guerra contro quella che consideravano la loro madrepatria. Non ci furono tentennamenti, né sorprese nell'orientamento filo-italiano. Il 25 ottobre 1918, a un passo dalla fine delle operazioni belliche, il Fascio nazionale italiano - Enrico Conci Presidente e Alcide De Gasperi segretario - presentava al Parlamento viennese un ordine del giorno lapidario. Il testo così recitava: " (…) tutti i territori italiani, finora assoggettati alla Monarchia austro-ungarica (…), si debbono ormai ritenere come appartenenti allo Stato italiano". Milioni di morti e sacrifici incalcolabili segnò il profilo della Grande Guerra. I cattolici di ogni regione e contrada, con la loro lealtà avevano accompagnato l'epilogo del sogno risorgimentale. D'ora in avanti l'impegno da essi profuso nella vita politica nazionale non poteva conoscere più ostracismi o autolimitazioni. De Gasperi era un simbolo di questa forte volontà di riscatto e di protagonismo. Intanto la classe dirigente liberale iniziava a fare i conti con la propaganda della "vittoria mutilata", oscillando tra slanci retorici e anguste risoluzioni pratiche. Basti ricordare che tra scellino e lira venne fissato un rapporto di quaranta contro cento, mentre la richiesta delle nuove popolazioni del Regno puntava a un cambio alla pari. L'Italia, uscita dissanguata dalla guerra, disconosceva le attese e le speranze di quanti avevano combattuto per farne parte. In questa cornice, si può ben comprendere la ragione che portò De Gasperi, nel primo congresso del Ppi (Bologna, 1919), ad assumere la presidenza dell'Assemblea. Era l'homo novus che interpretava più di altri lo spirito di sano patriottismo democratico e cristiano. Nel suo indirizzo di saluto non esitò a rivendicare la scelta dei cattolici trentini, indicando nella liberazione "da una sovrastruttura germanico-feudale imposta da secoli di oppressione" l'obiettivo perseguito attraverso la battaglia irredentista. Questo il suo spirito, la vocazione che ne irradiava la visione politica. Dopo molti anni, nella fase declinante della sua leadership, la polemica ultranazionalista provò a dipingerne un ritratto da misero austriacante. Reagì con la dignità di chi era cosciente del lavoro svolto come uomo di governo. In realtà, la destra giocava la carta della paura verso i presunti cedimenti ai nemici della nazione. Aveva bisogno di colpire De Gasperi e lo faceva alzando la bandiera del patriottismo. E oggi? L'omaggio a De Gasperi sembra al riparo da queste critiche infondate. Egli è il llecattolico che più ha inteso il respiro del Risorgimento. Resta viceversa da capire perché mai il sentimento nazionale incontri, in Italia e in Europa, un ostacolo laddove non dovrebbe. Un ostacolo da destra, paradossalmente. Laddove, per dirla con franchezza, sarebbe lecito attendersi piuttosto il richiamo a un'idea di nazione, non l'indulgenza alla mitologia e al vaniloquio sulla pseudo-identità delle piccole patrie. *Senatore del Partito democratico

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