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Burton, mito della dolce vita

Richard Burton

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Venticinque anni fa, il 5 agosto del 1984 moriva, stroncato da un'emorragia cerebrale, Richard Burton: attore-mito del Vecchio e del Nuovo Continente, dalla recitazione sofferta e misurata, che interpretò film grandiosi e anche qualche pellicola per fare soldi. E che fu protagonista e simbolo della dolce vita romana: la sua relazione, che poi si trasformò in matrimonio, con Elizabeth Taylor, fece consumare tonnellate di carta ai giornali scandalistici degli anni Sessanta. Ma Richard Burton, nato nel 1925 in una cittadina del Galles che, per chi non parla bene inglese risulta molto difficile da pronunciare: Pontrhydyfen, da una famiglia di minatori con 13 figli, fu soprattutto un grande attore. Di scuola rigorosamente shakespeariana, come moltissimi attori di lingua inglese, prediligeva personaggi cupi e scontrosi, affidando alla presenza fisica e al naturale magnetismo la sua recitazione. Amava i personaggi tormentati e fu lui stesso tormentato: schiavo dell'alcol è stato un pessimo esempio di sregolatezza. Ma questo fu, in qualche modo, anche la sua fortuna perché il vizio che lo portò alla tomba a soli 58 anni gli dipinse intorno anche una nebbia torbida di fascino e debolezza, che fece letteralmente impazzire le donne. Un po' come ai tempi di Rodolfo Valentino il «bello e maledetto» Burton, negli anni Cinquanta e Sessanta, fece sospirare un'intera generazione di divoratrici di rotocalchi. Nella giornata di oggi gli dedica un tributo MGM channel, canale 320 di Sky, e domenica un film La7. Burton, all'inizio della sua carriera, giovanissimo, si dedicò soprattutto al teatro. Grazie al suo talento riuscì a studiare ad Oxford e a diplomarsi in recitazione. Debutta in Inghilterra a diciotto anni sul palcoscenico e a 23 sul grande schermo. Al cinema arriverà già con una solida fama di bevitore e donnaiolo. Poco dopo si sposerà, con Sybil Williams che gli darà due figli. Ma era chiaro che la Vecchia Europa gli stava stretta: rivolgerà lo sguardo ad Hollywood dove ottiene un contratto con la Fox potendo così iniziare a recitare in una serie di kolossal come «La tunica» del 1953 e «Le piogge di Ranchipur» (1955), ma anche in film più intimisti come «I giovani arrabbiati», del '59. All'inizio dei Sessanta arriva il gran colpo della sua vita: la parte di Marc'Antonio in «Cleopatra», il kolossal dei kolossal, un «polpettone» di quattro ore e più, firmato da Joseph Mankiewicz (nel director's cut il film dura sei ore e venti minuti, superando abbondantemente anche la durata dei «Dieci comandamenti»). Il ruolo fu inizialmente offerto a Marlon Brando che rifiutò perché considerò più interessante «Gli ammutinati del Bounty». La protagonista di «Cleopatra» era Elizabeth Taylor, ex bambina prodigio, allora in cerca di nuovi ruoli. E sul set Cupido scoccò la freccia che diede vita a due matrimoni, un divorzio e un numero incalcolabile di liti e riappacificazioni. Tutti (o quasi) riccamente documentati dalla stampa scandalistica. Burton girò film belli e impegnati come «Rappresaglia», di Cosmatos, sulle Fosse Ardeatine; film meno belli come «I quattro dell'oca selvaggia», ma sempre con impegno e professionalità. L'ultimo film tratto dal capolavoro letterario di George Orwell: «1984». Fu l'anno della sua scomparsa.

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