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Bon, l'antica religione del Tibet che mette d'accordo vita e morte

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Nelcuore di Roma uno spicchio d'Oriente magico e spirituale accoglie il visitatore accaldato con un sottofondo di suoni metallici, stridenti, arcaici. È la mostra multimediale (fotografie, video, oggetti-reliquie, musiche e suoni) su una religione praticamente sconosciuta in Occidente: il Bon, la religione che esisteva in Tibet prima del Buddismo (introdotta ufficialmente nel paese delle nevi nell'ottavo secolo dopo Cristo). Nella mostra, allestita alla Sala Santa Rita a piazza Campitelli, anche le foto di un pellegrinaggio di monaci bon documentato dall'etnologo italiano Martino Nicoletti, curatore di tutta la rassegna. Fulcro di questo pellegrinaggio è un rituale meditativo di auto-sacrificio, nel corso di una lunga e complessa pratica di meditazione i monaci offrono infatti il proprio corpo, simbolicamente smembrato, cotto e trasmutato in sostanze pure così da essere offerto ad una vasta schiera di spiriti, dei e demoni che abitano quei selvatici e impervi luoghi. «Anche se esteriormente i seguaci e i monaci di questa religione sembrano dei lama tibetani in realtà la loro filosofia ha origini che la collocano in una vasta area compresa tra Asia centrale, Pakistan settentrionale e Iran settentrionale - spiega Nicoletti - Sebbene in queste zone la religione bon non esiste più, ancora oggi numerosi fedeli continuano a professarla in molte regioni del Tibet e dopo l'occupazione cinese del Tibet e l'esilio di molti tibetani, in India, Nepal, Sikkim». Ma i seguaci del bon sono perseguitati dai cinesi come i buddisti? «Sì certamente soprattuto in concomitanza della rivoluzione culturale cinese molti monasteri bon furono distrutti e i seguaci della religione furno costretti a scegliere la via della fuga dal Tibet». Cosa fa paura ai cinesi? «Semplicemente la fede religiosa che è considerata ancora oggi un retaggio di una mentalità arcaica e reazionaria quindi sfavorevole a ogni progresso civile». Quali sono le differenze con i buddisti? «Innanzi tutto i bon credono che la propria religione sia stata fondata da un essere illuminato che, sebbene abbia molti tratti in comune con il Budda si narra che apparve sulla terra nel mitico regno di Olmo lung ring localizzato ad ovest dell'odierno Tibet. Gli stessi insegnamenti di questa religione sono stati nei secoli sistematizzati secondo delle scritture diverse da quelle buddiste». Parliamo ora del pellegrinaggio «Un'esperienza emozionante, coinvolgente, ben oltre il mio ruolo di ricercatore. Per sette giorni consecutivi a oltre 3500 metri di altitudine ho avuto la fortuna di condividere l'esperienza dei monaci, la vita quotidiana, i rigori di un ambiente quasi estremo, la pratica rituale che veniva ripetuta più volte al giorno per terminare soltanto nel cuore della notte. Durante questo viaggio l'habitat naturale si trasfigurava completamente per divenire la dimora selvatica di spiriti, dei demoni e inquiete anime dei defunti». Ma scusi non era una forma di autosuggestione? «Non sono una persona facilmente suggestionabile. Nonostante questo la sensazione è spesso quella di sfiorare con un dito un universo parallelo, invisibile, sconosciuto ai più e ormai dimenticato nella nostra civiltà così affannata dietro il consumismo e il materialismo» Come si è verificata la percezione tattile del soprannaturale? «Questo accadeva soprattutto nella dimensione onirica notturna. I miei sogni e quelli dei miei colleghi sono stati totalmente rimodellati. Invasi da figure, personaggi e situazioni inaspettate e radicalmente diverse da ogni mia esperienza quotidiana e da ogni mio consueto sognare». E il contatto con l'aldilà? «I monaci attraverso una meditazione stabilivano un contatto mentale con la dimensione invisibile. Per coadiuvare questo incontro si servivano non solo della recitazione di mantra e testi sacri ma soprattutto della musica. Alcuni degli strumenti che suonavano erano stati ricavati da ossa e pelle umana presa da defunti. Nella tradizione religiosa tibetana a questi specifici strumenti è infatti attribuito il magico potere di richiamare l'attenzione di demoni e dei. Così da invitarli al cospetto degli officianti». I monaci quando capiscono che hanno ottenuto il loro scopo? «Il buon esito del rito è talvolta interpretato dal tipo di sogni che i monaci hanno durante e dopo il rito. Gli spiriti invocati durante il giorno appariranno infatti nella notte per comunicare la loro soddisfazione, la gratitudine o eventualmente per richiedere ulteriori rituali di placazione». A cosa e a chi serve il rito? «Questo rito di offerta del proprio corpo agli spiriti locali ha in primo luogo lo scopo di placare gli spiriti dei luoghi così da mantenre un armonioso equilibrio tra il mondo umano e quello invisibile. Proprio per questo motivo il rito è alle volte svolto come forma di esorcismo o strumento per scongiurare carestie ed epidemie o come anche rituale terapeutico nel caso di malattie provocate da spiriti o demoni». E funziona? «Stando alle infomazioni degli stessi monaci o delle persone del posto questo genere di rituali ha spesso un'alta efficacia» E le medicine? «Servono per curare i mali del corpo. Rituali come questi invece curano i mali dell'anima».

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