Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Avati: «Ecco la mia giovinezza spensierata lontana dalle perversioni dei ragazzi di oggi»

default_image

  • a
  • a
  • a

Riaffiora l'Amarcord del tipico bar bolognese che rievoca gli anni 50, quelli delle prime televisioni nelle case, delle prime edizioni di Sanremo e delle utilitarie roboanti. E il regista Pupi Avati torna ai suoi 17 anni per raccontarli in un film, dal 3 aprile nelle sale distribuito da 01, con la colonna sonora di Lucio Dalla. Tra «Gli Amici del Bar Margherita», spiccano Al (Diego Abatantuono), il carismatico boss del quartiere; Bep (Neri Marcorè) innamorato dell'entreneuse Marcella (Laura Chiatti); Gian (Fabio De Luigi) che ha l'ambizione di cantare a Sanremo; Zanchi (Claudio Botosso), inventore delle cravatte con l'elastico; Manuelo (Luigi Lo Cascio), un erotomane che guida bendato senza toccare il freno per vincere le scommesse e Sarti (Gianni Ippoliti), campione di ballo. Mentre nella casa di fronte al bar Margherita c'è la casa del piccolo Taddeo (Pierpaolo Zizzi) che incarna il 17enne Avati, con mamma Ines (Katia Ricciarelli) e il nonno (Gianni Cavina) che a 80 anni decide di prendere lezioni di piano dalla seducente napoletana Ninni (Luisa Ranieri). «Più che raccontare me stesso in questo film ho voluto rievocare il Pantheon dei miei eroi, in quel santuario nel quale la società dei maschi era coesa e vedeva con diffidenza la donna, considerata un elemento perturbativo, tranne quando diventava poi fidanzata o moglie - ha raccontato ieri Avati -. Allora perché non alzare la saracinesca di quel bar e celebrare i nostri 40 anni di cinema, sorridendo della nostra superlativa ingenuità? Ai miei tempi si consumava una giovinezza sperperata, ci divertivamo e contavamo poco o nulla, non destavamo l'attenzione del mercato mediatico nè degli adulti. Eravamo deresponsabilizzati. Diversamente dalla gioventù di oggi che è senza prospettive per colpa nostra. Dobbiamo assumerci una responsabilità terrificante: noi abbiamo delegittimato i sogni dei giovani nella disattenzione generale. E non è un caso se c'è tanta preclusione in Italia per i film a lieto fine, mentre gli Usa con gli happy end hanno incantato il mondo intero».

Dai blog