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Contro tutti gli sprechi Soprattutto quello della vita

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Par condicio. E accanto alla mamma del cuore c'è lei, Lucia, la figlia più piccola, accucciata nel seggiolone, con i capelli rasati come un maschietto, le manine in bocca, un sorriso per conquistare l'attenzione. Qualche giorno fa ha compiuto due anni. Ma è stata partorita dalla mamma della pancia dopo appena 22 settimane di gravidanza, quando pesava 562 grammi, un corpo che si poteva stringere nel pugno di una mano. Di fronte a una tragica diagnosi prenatale, la mancanza dei bulbi oculari, ed a un verdetto di cecità, la madre naturale aveva deciso di separarsi da Lucia. Non se la sentiva di andare avanti, non aveva l'energia per un braccio di ferro con il destino, e nel letto dell'ospedale era maturata la sua scelta. Aborto terapeutico. L'ostetrica, applicando la legge, accudiva la donna e al momento dell'intervento, ascoltando la coscienza, si è accorta del miracolo. La neonata era sopravvissuta, sfidando da sola la scienza e la sorte: le possibilità di continuare a respirare alla 22esima settimana di gestazione sono pari allo 0,001 per cento. Nulla. Invece Lucia ce l'aveva fatta e la sua lotta contro la morte è continuata per alcuni mesi: il cuore perdeva colpi, i referti parlavano di emorragia celebrale, problemi respiratori, infezioni. Eppure lei non ha mollato, non si è spenta. E ha incrociato sulla sua strada solitaria Maria che, con il marito Aldo, ha deciso di accoglierla in affidamento nella loro casa-famiglia. "Quando mi chiamano dai servizi sociali per propormi l'affido di Lucia, il pediatra che mi conosce bene, e sa tutta la storia della nostra casa-famiglia, dice: "Maria, pensaci bene. Per il bene che ti voglio, ti consiglio di non prenderla: è sorda, cieca, con mille guai, quasi allo stato vegetativo, e non potrà mai avere una vita normale. Tu hai già tanti problemi con i tuoi figli...". Mi spiegava tutto, ma parlava solo di una nascita prematura e di un abbandono in ospedale. Poi, con mio marito, andiamo a trovare il primario del reparto di neonatologia, dove Lucia è ricoverata. Mi descrive i danni della agenesia binoculare, cioè la perdita di entrambi gli occhi, e aggiunge che però ha visto diversi bambini, anche in condizioni peggiori della minuscola neonata, crescere e migliorare grazie al calore della famiglia. A un tratto, interrompe il discorso e ci guarda con un'aria sfuggente: "Ma voi sapete la storia di questa bambina?" "No, non sappiamo nulla" rispondiamo. "E' un aborto". Stringo la mano di Aldo, penso ai due figli che non ho avuto, morti prematuramente nella mia pancia, e insieme decidiamo in un attimo, sentiamo che per noi un cerchio si sta chiudendo. La vita di Lucia non andava sprecata, e pochi giorni dopo la bambina era a casa nostra". A tavola, mentre Maria fa il suo racconto, arriva la pasta al ragù: la cottura è ottima. (...). Giro lo sguardo e torno a inquadrare il seggiolone. Lucia ha una sonda gastrica per l'alimentazione, si chiama Peg, grazie alla quale il cibo riesce a infilarsi nello stomaco e non finisce nei polmoni. Un piccolo apparecchio le copre le orecchie, la bambina inizia a sentire. Con una pompa, a forma di siringa, assorbe il latte. Mamma Maria intuisce i miei interrogativi, li anticipa. "Adesso lei mi deve dire chi può parlare, in questo caso, di accanimento terapeutico. Pensi che Lucia, quando è nata, aveva l'indice di Apgar, che misura la vitalità di un neonato, pari a 7. Un valore altissimo. Era minuscola, una pietra, ma piangeva, urlava, si dimenava. Insomma: aveva voglia di vivere. E allora perché ucciderla? Perché sprecare una vita? Perché non dare anche a lei una possibilità? La legge dice che c'è un diritto delle donne ad abortire, d'accordo, ma non esiste anche un diritto di Lucia a vivere? " (...) Per capire meglio l'affidamento di Lucia che potrebbe presto diventare un'adozione, approfondisco i confini della comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, il sacerdote scomparso nel novembre del 2007. Don Benzi è un prete di strada, un apostolo della carità, che gira notte e giorno con il Vangelo in mano, come se impugnasse una bussola, a caccia degli ultimi da aiutare. Tossicodipendenti, prostitute, barboni, orfani, handicappati, alcolisti: i suoi ultimi, uomini e donne, sono quelli delle vite da non sprecare. (...). Con la stessa concretezza da prete romagnolo, era nato nella Rimini felliniana, e sempre ispirato dall'utopia della spiritualità, don Benzi negli anni mette in piedi, in 12 paesi del mondo, una rete di 500 case-famiglia (300 in Italia). Compresa quella di Aldo e Maria. E decide che la sua missione dalla parte degli ultimi, la sua multinazionale del soccorso, debba comprendere anche i bambini, i ragazzi, i giovani. Per lui l'aborto è uno scandalo, un omicidio punto e basta, tanto che don Benzi propone, provocatoriamente, di cambiare il nome della festa di Ognissanti, 1° novembre, in ricorrenza dei feti uccisi. E proprio pochi mesi dopo il lancio dell'anatema, il cuore generoso di don Benzi cessa improvvisamente di battere. (...)La mia visita nella casa-famiglia che ha salvato la vita di Lucia è terminata. Saluto Maria con un abbraccio, mentre Aldo mi vuole assolutamente accompagnare alla stazione: saliamo in macchina, una Fiat Multipla, e mi accorgo di essere circondato dai seggioloni per bebè. (...) Prima di salire sul treno ci promettiamo, nelle prossime settimane, una telefonata per avere notizie di Lucia. «E se fosse stata mia figlia?» mi chiedo. Di fronte a questa domanda mi appare il buio dell'incertezza: non ho una risposta pronta. Per fortuna, durante il viaggio verso Milano devo pensare ad altro e concentrami su una ricognizione delle statistiche degli aborti. Leggo una montagna di tabelle, relazioni, grafici. Carte che puzzano di vite sprecate. Nel mondo, ecco il primo dato sconcertante, ogni anno si contano 41,6 milioni di aborti dei quali 35 nei paesi in via di sviluppo e 6,6 nelle economie più avanzate. Per ogni 100 bambini che nascono, ce ne sono 31 che muoiono prima di vedere la luce, e l'Organizzazione mondiale della Sanità ha calcolato che, alla soglia dei 45 anni, il 90 per cento delle donne del pianeta ha avuto un aborto. Lo schema della distribuzione geografica ed economica degli aborti è chiaro: Nord e Sud, ricchi e poveri. Con la Cina che fa da locomotiva mondiale anche nella corsa alla carneficina: un quinto di tutte le interruzioni di gravidanza si consumano in questo paese. E con l'Uguanda che ha il record degli aborti insicuri, a rischio per la mamma e per il neonato: in Africa 16 donne su 1000 sono ricoverate per gravi complicazioni. Anche in Italia, dove dal 1978 abbiamo una legge che rappresenta un buon compromesso in un paese allo stesso tempo profondamente cattolico e ormai secolarizzato, gli aborti (almeno quelli ufficiali) si traducono nella maggioranza dei casi in un problema di donne povere, o comunque con redditi molto bassi: una su tre ha la cittadinanza straniera. Immigrate.

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